
La scelta di ribattezzare l’evento come “Conferenza di Messina e Taormina” e di includere la firma del sindaco Cateno De Luca sulla riproduzione della dichiarazione appare come un’operazione di revisionismo storico difficile da comprendere.

MESSINA – Una firma apposta su una pergamena che rievoca la storia, ma che la storia la tradisce. La celebrazione per il 70° anniversario della Conferenza che nel 1955 gettò le basi dell’Unione Europea si è trasformata in un’occasione per sollevare un interrogativo scomodo su un palese falso storico: perché il sindaco di Taormina ha firmato la riproduzione di un documento che nessun suo predecessore siglò mai? E perché si continua a parlare di Conferenza di “Messina e Taormina”, attribuendo alla perla dello Jonio un ruolo ufficiale che non ebbe?
Per ristabilire la verità dei fatti, è necessario tornare a quei giorni cruciali di inizio giugno del 1955. La Conferenza di Messina, questo il suo unico e corretto nome, fu un vertice politico decisivo in cui i Ministri degli Esteri dei sei paesi fondatori della Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio (CECA) si riunirono per rilanciare il processo di integrazione dopo il fallimento della Comunità Europea di Difesa (CED).
Le sessioni ufficiali, i dibattiti formali e, soprattutto, il momento culminante della firma della Dichiarazione di Messina – il documento che aprì la strada ai Trattati di Roma del 1957 – si svolsero interamente e unicamente a Messina. L’atto finale fu siglato la sera del 3 giugno 1955. Su quel documento storico non compare, e non sarebbe potuta comparire, la firma di alcun rappresentante dell’amministrazione taorminese.
TAORMINA? SOLO UN “SALOTTO BUONO”
Quale fu, allora, il ruolo di Taormina? Fu, senza dubbio, cruciale, ma su un piano diverso: quello della diplomazia informale, del “salotto buono”. Taormina, con la sua atmosfera più raccolta e il prestigio dell’Hotel San Domenico, fu scelta come cornice per gli incontri conviviali, le cene di lavoro e i colloqui riservati. Lì, in un clima più disteso e lontano dai riflettori ufficiali, si costruirono le intese personali e si smussarono gli angoli degli accordi politici che poi venivano formalizzati a Messina. Taormina fu la sede strategica del dialogo, ma non delle decisioni. Fu il backstage elegante di un evento la cui unica ribalta ufficiale era Messina.
Alla luce di questa inconfutabile realtà storica, la scelta di ribattezzare l’evento come “Conferenza di Messina e Taormina” e di includere la firma del sindaco Cateno De Luca sulla riproduzione della dichiarazione appare come un’operazione di revisionismo storico difficile da comprendere. Visto che la cronaca di ieri parla di “firma di riproduzione dell’epoca” e non di una “presenza” alla rievocazione, quella firma appare come una forzatura. Una forzatura che, seppur forse animata da intenti di promozione congiunta del territorio, finisce per annacquare la specificità e il primato storico della città dello Stretto.
LA STORIA VA TUTELATA
La domanda, dunque, sorge spontanea e merita una risposta chiara: a chi giova questo falso storico? Perché piegare la precisione dei fatti a una narrazione che confonde i piani e attribuisce meriti non dovuti? La firma di ieri con l’aggiunta di quella del Sindaco di Taormina non è un omaggio alla storia, ma una sua alterazione, una forzatura. Forse una cortesia? In ogni caso rimane quel che è: un gesto che, invece di celebrare degnamente un evento fondativo per l’Europa, finisce per alimentare confusione, ponendo un’ombra sulla memoria di ciò che accadde realmente a Messina in quei giorni di settant’anni fa. La storia merita rispetto, non accomodamenti di comodo.
