
L’odissea di Farzaneh, 36 anni, e del suo bambino di 18 mesi, rimasti bloccati a Teheran dopo l’attacco israeliano. Ora il viaggio della speranza in pullman verso l’Azerbaijan per ricongiungersi con il padre, il ginecologo di Piazza Armerina Salvatore Politi, in volo per Baku.

Una visita di famiglia per far conoscere un nipotino ai nonni trasformata in un incubo di guerra. Un medico siciliano separato dai suoi affetti, rimasto per giorni con il fiato sospeso e il telefono in mano, in attesa di un segnale di speranza. È l’odissea di Salvatore Politi, ginecologo di 46 anni originario di Piazza Armerina, e della sua famiglia, scaraventata all’improvviso nel cuore del conflitto tra Iran e Israele. Ora, finalmente, la sua compagna “Azizam”, 36 anni, e il loro figlio di 18 mesi sono in viaggio per fuggire dall’orrore.
Il viaggio della speranza verso Baku
Dopo giorni di angoscia e disperati tentativi di contatto con la Farnesina, qualcosa si è mosso. «Dalle ultime notizie, so che una trentina di italiani accompagnati dal personale consolare sono partiti dall’ambasciata di Teheran in pullman per giungere al confine con l’Azerbaijan», spiega il dottor Politi. Un convoglio di speranza che sta portando i suoi cari verso un luogo sicuro a Baku, la capitale azera. Il medico non ha perso un istante: «Arriverò a Baku stasera», ha confermato questa mattina, con la voce carica di emozione e ansia. «Ho già il volo di rientro per domenica mattina. Spero di abbracciarli presto e tornare in Italia assieme a loro». Un ricongiungimento atteso come una liberazione.
Una visita di famiglia trasformata in incubo
Nessuno poteva immaginare un simile epilogo quando, più di un mese fa, è stato prenotato quel volo. «La mia compagna, che da 13 anni vive in Italia, contava di approfittare del viaggio per prendere gli ultimi documenti necessari per richiedere la cittadinanza», racconta Politi. Farzaneh e il piccolo sono partiti il 5 giugno. Il rientro era previsto per mercoledì scorso, in tempo per la festa di fine anno della scuola del bambino, un appuntamento a cui teneva moltissimo. Ma i cieli si sono chiusi e i missili hanno iniziato a volare, cancellando i voli e ogni via d’uscita. «Sono rimasti lì, tra le bombe, ero disperato», confessa il medico.
La vita tra le bombe: “Latte e pannolini finiti”
La situazione per madre e figlio è precipitata rapidamente. Con l’intensificarsi degli attacchi, si sono rifugiati in una casa di campagna di appena 70 metri quadrati, insieme ad altri 15 familiari. Un solo bagno per tutti, con qualcuno costretto a dormire in tenda per la mancanza di posti letto. Le scorte hanno iniziato a esaurirsi: «Il latte per il bambino è finito, così come i pannolini», racconta Politi. Scarseggiavano i medicinali, la benzina per gli spostamenti era razionata e le comunicazioni, a causa di una connessione internet instabile, erano un’impresa. Ogni giorno trascorso senza notizie è stato, per il ginecologo, un peso insopportabile.
L’incognita del visto e l’aiuto della Farnesina
La fuga, seppur organizzata, non è priva di ostacoli. La preoccupazione più grande è legata ai documenti della compagna. In un messaggio vocale carico di angoscia inviato nei giorni scorsi, “Azizam” confidava al compagno tutta la sua paura: «Io non ho il visto ed essendo iraniana se non mi lasciano passare, cosa faccio con un bambino di 18 mesi al confine dove non ho nessuno e non conosco nessuno?». Un’incognita che mette i brividi, ma su cui si sta lavorando senza sosta. «Voglio ringraziare i funzionari diplomatici dell’ambasciata italiana a Teheran – conclude Politi – perché stanno velocizzando le pratiche per il visto d’ingresso della madre di mio figlio». Una corsa contro il tempo per un lieto fine che ora, dopo tanta paura, sembra finalmente a portata di mano.
