Oltre la Celebrazione, l’Analisi di un Paradigma: analizzare il Primo Maggio significa decostruire un simbolo, esplorarne la genesi traumatica.

Il Primo Maggio sta mantenendo la sua funzione di data pregnante e simbolica, di Festa dei Lavoratori? Una disamina critica che trascenda la mera ritualità celebrativa impone oggi come non mai, di investigare le complesse e spesso conflittuali radici storiche di questa ricorrenza. Che peraltro di certo sfugge alle nuove generazioni e che rischia di riassumersi in un mero fenomeno di spettacolarizzazione riconducibile ad un concerto.
Ed invece è importante ricordare che trae origine da un crogiolo di lotte operaie, brutali repressioni e processi giudiziari la cui equità è stata oggetto di profondo scrutinio storico. Analizzare il Primo Maggio significa, pertanto, decostruire un simbolo, esplorarne la genesi traumatica, l’evoluzione semantica e valutarne criticamente la pertinenza e la capacità di interpellare le dinamiche socio-economiche del presente.
La radice storica sanguinosa – Chicago, 1886: Genesi di una Rivendicazione e la Tragedia di Haymarket

L’eziologia storica del Primo Maggio è intrinsecamente legata agli eventi che ebbero luogo a Chicago nella primavera del 1886. Epicentro dell’impetuoso sviluppo industriale statunitense, la città divenne il fulcro della mobilitazione operaia per la riduzione della giornata lavorativa a otto ore, una rivendicazione sintetizzata nello slogan “Otto ore per lavorare, otto ore per dormire, otto ore per educarsi“. Le principali organizzazioni sindacali, tra cui la Federation of Organized Trades and Labor Unions e i Knights of Labor, indissero uno sciopero generale nazionale per il 1° maggio 1886.
Sebbene la manifestazione iniziale a Chicago si svolgesse pacificamente, il clima di tensione sfociò in violenza il 3 maggio, quando la polizia aprì il fuoco sugli scioperanti delle fabbriche McCormick, causando morti e feriti. La conseguente manifestazione di protesta, convocata per il 4 maggio a Haymarket Square, si concluse tragicamente. Un ordigno, lanciato da ignoti contro le forze dell’ordine intente a disperdere l’assembramento, provocò la morte di un agente e il ferimento di molti altri. La reazione della polizia fu caotica e letale: gli agenti aprirono il fuoco sulla folla, colpendo manifestanti e, nel disordine, anche i propri commilitoni. L’irrisolta questione dell’identità dell’attentatore divenne un elemento cruciale nella successiva strumentalizzazione giudiziaria degli eventi.
Il Processo di Haymarket: Giustizia Sommaria e Martirio Politico

La risposta istituzionale al massacro di Haymarket si tradusse in una celere e implacabile azione repressiva mirata a decapitare il vertice del movimento sindacale e anarchico locale. Otto attivisti di spicco – August Spies, Albert Parsons, Adolph Fischer, George Engel, Louis Lingg, Michael Schwab, Samuel Fielden e Oscar Neebe, figure rappresentative della composita classe operaia chicagoana, inclusi immigrati tedeschi e cittadini americani – furono tratti in arresto. Il processo che ne seguì è ampiamente considerato dalla storiografia come un esempio emblematico di giustizia politica, inficiato da gravi irregolarità procedurali e da un manifesto pregiudizio ideologico.
In assenza di prove conclusive che stabilissero un nesso causale diretto tra gli imputati e l’attentato dinamitardo, l’impianto accusatorio si fondò sul controverso principio della “cospirazione“: gli otto furono ritenuti moralmente responsabili per aver, con i loro discorsi e le loro pubblicazioni, fomentato un clima favorevole alla violenza. La giuria emise un verdetto di colpevolezza generalizzato, comminando sette condanne capitali e una pena detentiva di 15 anni per Neebe.
La sentenza provocò un’ondata di proteste a livello internazionale, consacrando i condannati come i “Martiri di Chicago”, emblemi della brutale repressione anti-operaia. Nonostante gli appelli alla clemenza, quattro degli imputati (Spies, Parsons, Fischer, Engel) furono giustiziati mediante impiccagione l’11 novembre 1887. Le loro ultime dichiarazioni, intrise di sfida e di fede nella causa operaia, come quella attribuita a Spies (“Salute, verrà il giorno in cui il nostro silenzio sarà più forte delle voci che oggi soffocate con la morte!“), amplificarono ulteriormente la portata simbolica del loro sacrificio. La successiva concessione della grazia ai tre superstiti da parte del governatore John Peter Altgeld nel 1893, motivata dal riconoscimento formale dell’ingiustizia del processo e dell’innocenza degli imputati, rappresentò una tardiva, seppur significativa, riabilitazione postuma, confermando la natura eminentemente politica del procedimento giudiziario.
Parigi, 1889: L’Istituzionalizzazione Internazionale del Primo Maggio

La vicenda dei Martiri di Chicago ebbe vasta eco nel movimento socialista europeo. Nel luglio 1889, a Parigi, in occasione del congresso fondativo della Seconda Internazionale, fu deliberata, su proposta del delegato francese Raymond Lavigne, l’istituzione del Primo Maggio quale giornata internazionale di mobilitazione dei lavoratori. La risoluzione mirava a saldare la commemorazione del sacrificio di Haymarket con la prosecuzione della lotta per la riduzione generalizzata dell’orario di lavoro a otto ore, principale piattaforma rivendicativa dell’epoca.
La scelta di una data unica per una manifestazione coordinata a livello globale (“in tutti i paesi e in tutte le città contemporaneamente“) rappresentò un passaggio qualitativo fondamentale: la trasformazione di un evento specifico in un appuntamento rituale e universale, espressione della crescente solidarietà e coscienza di classe del proletariato internazionale. La prima celebrazione, nel 1890, registrò un’adesione imponente, confermando la capacità del movimento operaio di mobilitarsi su scala transnazionale per obiettivi comuni.
Il Primo Maggio in Italia: Tra Conflittualità Endemica e Neutralizzazione Fascista

L’introduzione del Primo Maggio in Italia, a partire dal 1890-1891, si inserì in un quadro di elevata conflittualità sociale. Le prime celebrazioni furono sistematicamente ostacolate dalle autorità governative attraverso divieti, interventi repressivi delle forze dell’ordine e schedature dei militanti socialisti e sindacali. La violenza della repressione raggiunse il suo acme con i tragici fatti di Milano del 1898, quando le proteste popolari furono soffocate dall’esercito sotto il comando del generale Bava Beccaris.

L’avvento del regime fascista segnò un tentativo deliberato di sradicare la ricorrenza dal calendario civile e dalla memoria collettiva. Il Primo Maggio, percepito come intrinsecamente sovversivo e legato all’internazionalismo proletario, fu abolito per decreto nel 1923 e sostituito dalla “Festa del lavoro italiano”, fissata al 21 aprile, giorno del “Natale di Roma“. Tale operazione di cooptazione simbolica mirava a neutralizzare la carica antagonista della festa operaia, assorbendola all’interno dell’apparato ideologico nazionalista e corporativista del fascismo.
Ciononostante, la tradizione del Primo Maggio non fu estirpata, ma sopravvisse in forme clandestine per l’intero Ventennio, attraverso pratiche di resistenza simbolica (garofani rossi, scritte murali, astensioni dal lavoro dissimulate). La sua immediata e vigorosa riapparizione nelle piazze italiane il 1° maggio 1945, all’indomani della Liberazione, attestò la resilienza della memoria operaia e il fallimento del progetto totalitario fascista di plasmare integralmente la cultura popolare.
Il clima di rinascita democratica fu tuttavia funestato dalla strage di Portella della Ginestra, il 1° maggio 1947, quando la banda Giuliano aprì il fuoco sui lavoratori riuniti per la celebrazione, provocando una carneficina. L’eccidio, i cui contorni politici e mandanti restano oggetto di dibattito storiografico, rappresentò un brutale monito sulla persistenza di forze reazionarie ostili alle istanze di emancipazione sociale nel fragile contesto post-bellico. Nello stesso anno, il Primo Maggio fu ufficialmente riconosciuto come festa nazionale, suggellando il suo legame indissolubile con i valori fondanti della Repubblica Italiana, nata dalla Resistenza e imperniata sul principio del lavoro.
Il Primo Maggio oggi

Nel contesto attuale, il Primo Maggio si presenta come una ricorrenza complessa, il cui significato oscilla tra la celebrazione rituale di conquiste storiche e la necessità di riattualizzare la sua funzione di mobilitazione sociale. Se da un lato esso rimane un potente memento dei diritti acquisiti attraverso decenni di lotte operaie, dall’altro lato la sua capacità di intercettare e dare voce alle nuove forme di disagio e sfruttamento nel mondo del lavoro contemporaneo appare problematica.
L’era della globalizzazione neoliberista, della digitalizzazione pervasiva, della precarizzazione strutturale e della frammentazione delle identità lavorative (si pensi alla gig economy) ha profondamente mutato il panorama del lavoro. Le forme tradizionali di celebrazione del Primo Maggio, come i cortei sindacali o gli eventi mediatici quali il concerto di Piazza San Giovanni, pur conservando una funzione aggregativa, rischiano di apparire insufficienti a rappresentare la complessità e l’urgenza delle nuove sfide. La spettacolarizzazione della ricorrenza può inoltre contribuire a stemperarne la carica politica originaria, riducendola a un evento commemorativo piuttosto che a un momento di effettiva mobilitazione e conflitto sociale.

La questione cruciale è se il Primo Maggio possa ancora costituire un catalizzatore efficace per le lotte contemporanee: dalla difesa dei diritti dei lavoratori atipici e migranti, alla battaglia per salari dignitosi e condizioni di lavoro sicure, fino alla rivendicazione di un modello di sviluppo socialmente ed ecologicamente sostenibile. Come ricordava Sandro Pertini, il lavoro è intrinsecamente legato alla dignità umana e alle necessità fondamentali dell’esistenza, ma la traduzione di questo principio in diritti esigibili e tutele universali richiede un costante rinnovamento delle strategie di lotta e delle forme di rappresentanza collettiva.

Il Primo Maggio si configura come un’eredità storica densa e contraddittoria. Nato da una tragedia e istituzionalizzato come giornata di lotta internazionale, ha attraversato fasi di repressione, tentativi di cooptazione e momenti di grande mobilitazione popolare. La sua sopravvivenza come festa nazionale testimonia la centralità del lavoro e dei diritti sociali nella costruzione delle democrazie moderne. Tuttavia, per non scadere nella mera ritualità, è indispensabile che la celebrazione del Primo Maggio sappia costantemente riconnettersi alle sfide del presente, fungendo da stimolo per un’analisi critica delle trasformazioni in atto nel mondo del lavoro e per la formulazione di nuove piattaforme rivendicative capaci di unificare le diverse figure del lavoro contemporaneo. Solo così il ricordo del sacrificio dei Martiri di Chicago e delle innumerevoli lotte operaie potrà continuare a ispirare l’impegno per una società più giusta ed equa.