
I magistrati: ‘Sanità affetta da corruzione sistemica’
La gestione degli appalti nella sanità siciliana sarebbe stata in mano a un comitato d’affari criminale composto da dirigenti pubblici, lobbisti, imprenditori del settore di livello nazionale e loro collaboratori legati da contiguità con esponenti politici di rilievo: l’ennesimo scandalo in un settore più volte finito nel mirino degli inquirenti è stato scoperto dalla Procura di Palermo che ha chiesto e ottenuto dal gip misure cautelari per 10 indagati.
Nella richiesta i magistrati, che ipotizzano turbative d’asta di gare per 130 mln, parlano di una sanità “affetta da una corruzione sistemica”.
L’inchiesta, che è l’ultimo capitolo di una maxi indagine degli anni scorsi sugli appalti truccati nella sanità portata avanti dai pm coordinati dal procuratore Maurizio de Lucia, è stata condotta dalle Fiamme Gialle del comando provinciale Palermo che hanno dato esecuzione a un’ordinanza applicativa di misure cautelari personali dopo gli interrogatori preventivi, ora previsti per legge, disposti dal gip nei confronti degli indagati accusati, a vario titolo, di corruzione, turbata libertà degli incanti, turbata libertà nel procedimento di scelta del contraente, emissione e utilizzo di fatture per operazioni inesistenti. Agli indagati sono state notificate misure cautelari che vanno dagli arresti domiciliari, agli obblighi di presentazione alla polizia giudiziaria, agli obblighi di dimora e ai provvedimenti interdittivi.Per avvantaggiare le imprese amiche i pubblici funzionari coinvolti avrebbero anticipato ai loro referenti documentazione riservata relativa a gare ancora da bandire, avrebbero costruito capitolati su misura sulla base delle indicazioni ricevute dagli interlocutori arrivando ad annullare i bandi non graditi alle stesse imprese. L’inchiesta ha anche svelato manovre volte a condizionare la formazione delle commissioni aggiudicatrici, inserendo componenti ritenuti “affidabili”. In cambio di ciò, ai pubblici ufficiali sarebbero state date o promesse tangenti collegate al valore delle commesse e, talvolta, mascherate da accordi di consulenza, o sarebbero stati garantiti loro favori come assunzioni di familiari. Cercava sponde nell’assessorato regionale al Bilancio Antonio Sciacchitano, finito ai domiciliari oggi per gare truccate nella sanità. Secondo gli inquirenti, Sciacchitano e uno dei suoi complici, Giovanni Cimo, avrebbero tentato di arrivare a Silvio Cuffaro, fratello dell’ex governatore Totò, dirigente generale dell’assessorato, per aiutare la Polygon spa (una delle società da loro favorite) a chiudere una transazione con la Centrale Unica di Committenza della Regione per l’assegnazione del lotto 1 della procedura delle apparecchiature elettromedicali. La Polygon pensava di proporre una transazione all’amministrazione regionale, in modo da riottenere l’aggiudicazione del lotto, evitando alla Centrale unica di committenza di dover bandire nuovamente una gara per l’assegnazione della porzione dell’appalto da cui Polygon (ex Tecnologie Sanitarie) era stata esclusa dopo la vecchia inchiesta “Sorella Sanità”. L’idea era di “ammorbidire” il dirigente della Cuc Di Leo “ai fini del buon esito della transazione” grazie alla mediazione di Silvio Cuffaro (non risulta se ci sia davvero stata), a cui i due faccendieri sarebbero giunti attraverso Vito Raso (autista di Totò Cuffaro). “A chiare lettere nelle intercettazioni – scrivono i pm – Cino e Sciacchitano hanno manifestato l’intenzione di farsi lautamente remunerare per questa attività di intermediazione, parlando della corresponsione da parte di Polygon di 200.000 euro a testa e dell’intenzione di questi ultimi di remunerare con 10.000 o 20.000 euro Silvio Cuffaro, dirigente dell’assessorato, per l’assistenza prestata, facendogli pervenire le somme tramite Vito Raso”. Nel febbraio 2023 la Polygon, però, è stata acquisita da parte di un fondo internazionale e l’operazione è naufragata.
