“Il ruolo del presidente del consiglio comunale è strumentale non già all’attuazione di un indirizzo politico di maggioranza, bensì al corretto funzionamento dell’organo stesso e, come tale, non solo è neutrale, ma non può restare soggetto al mutevole atteggiamento fiduciario della maggioranza, di guisa che la revoca di detta carica non può essere attivata per motivazioni politiche, ma solo istituzionali, quali la ripetuta e ingiustificata omissione della convocazione del Consiglio o le ripetute violazioni dello statuto o dei regolamenti comunali (v. anche, Cons. Stato, sez. V, 18.1.2006, n. 114)“.
Partiamo da qui, e con tanto di riferimento ad un parere espresso dal Consiglio di Stato. E lo riportiamo al fine di ristabilire i ruoli per come sono previsti e per come, pertanto devono essere esercitati, ma soprattutto per suggerire buona memoria a chi non l’ha o, magari, non conviene che l’abbia. Ma tant’è, e quindi, il ruolo del Presidente del Consiglio Comunale, ovunque lo si eserciti, deve essere così inteso e interpretato.
LE STABILIZZAZIONI UN OBBLIGO DI LEGGE
Fatta questa premessa, la questione oggetto del presente articolo, anche se sembra complessa, in effetti non lo è per nulla.
La vicenda delle assunzioni a tempo indeterminato, della stabilizzazione dei 133 dipendenti precari di Messina Social City è di certo una buona notizia. Lo è per i diretti interessati, lo è per le loro famiglie. E su questo punto deve essere chiaro che non accettiamo alcuna interpretazione, nè alcuna provocazione. D’altronde, quella di gioire per le stabilizzazioni, era anche intenzione, come è possibile leggere in un suo post social, espressa dal consigliere comunale di Messina, Cosimo Oteri, del gruppo Misto, che intendeva estenderla, laddove possibile, anche alla vicenda dei tirocinanti.
Quel che, invece, non sembra proceduralmente corretto è invece dare valenza di “merito amministrativo” a questa stabilizzazione, in quanto è un requisito che non può essere attribuito né all’amministrazione della Messina Social City, né a qualche sindacalista sovresposto (esposta), né tanto meno all’amministrazione comunale nel suo complesso.
La stabilizzazione dei 133 dipendenti a tempo indeterminato della Messina Social City, infatti, è un fatto amministrativo obbligato e previsto per legge. E’ un atto obbligato e che non sottende a nessuna percentuale (sia del 25% o del 30%, in base al nuovo Contratto nazionale lavoro utilizzato da quest’anno). Non è “stata brava” l’amministrazione a stabilizzare 133 lavoratori che “sono più dei 33 che andavano stabilizzati” come scrive il Presidente del consiglio comunale Nello Pergolizzi, prendendo le difese dell’amministrazione comunale a spada tratta, come spesso fa pur non dovendo farlo secondo quanto prevede ciò che abbiamo citato in apertura. Semmai, vero è che sono stati stabilizzati TUTTI i dipendenti inquadrati con contratti a tempo determinato, i quali, raggiunto il periodo di 24 mesi con la soddisfazione del requisito della continuità, è obbligatorio che debbano essere inseriti stabilmente in azienda.
Pertanto nessun merito, semmai un utile obiettivo raggiunto: stabilizzare i contratti a tempo determinato, tutti quelli esistenti in azienda, per poterne aprire di altri. Anche questo obbligo di legge: se non stabilizzi i precari in forza con contratto a tempo determinato da 24 mesi non ne puoi inserire altri.
E non vale neanche il principio che questi lavoratori potevano non essere stabilizzati e licenziati per far posto ad altri. Scelta questa impossibile in quanto lavoratori vincitori di una selezione e parte di una graduatoria.
I RIFERIMENTI NORMATIVI
A uso e consumo del Presidente Pergolizzi pubblichiamo qualche riferimento normativo che può chiarire la faccenda, anche perché ci sembra che quest’ultimo abbia interpretato quanto avvenuto prendendo a parametro quanto indicato per i lavoratori diversamente abili. E’ riferitamente corretto, invece, quanto riportato di seguito:
Innanzitutto il Decreto legislativo numero 81 del 2015, all’articolo 19 “Apposizione del termine della durata massima”, al comma 2, sancisce: ” Fatte salve le diverse disposizioni dei contratti collettivi, e con l’eccezione delle attività stagionali di cui all’articolo 21, comma 2, la durata dei rapporti di lavoro a tempo determinato intercorsi tra lo stesso datore di lavoro e lo stesso lavoratore, per effetto di una successione di contratti, conclusi per lo svolgimento di mansioni di pari livello e categoria legale e indipendentemente dai periodi di interruzione tra un contratto e l’altro, non può superare i ventiquattro mesi.
Qualora il limite dei ventiquattro mesi sia superato, per effetto di un unico contratto o di una successione di contratti, il contratto si trasforma in contratto a tempo indeterminato dalla data di tale superamento“.
Secondo l’articolo 25 bis del CCNL, in merito alle percentuali complessive di ammissibilità “
l’utilizzo di personale con contratti di lavoro a termine computabili ex art. 25 e in somministrazione a tempo determinato ex art 31 del presente CCNL, non può complessivamente superare il 30% del numero dei lavoratori occupati a tempo indeterminato e con contratto di apprendistato, in forza nell’impresa al 1° gennaio dell’anno di assunzione.“
Per cui quando Pergolizzi scrive: “È’ importante evidenziare che l’art. 25 del CCNL Cooperative Sociali, in tema di contratti a tempo determinato, prevede, il tetto massimo dei 36 mesi nel rispetto dei contenuti di cui all’art. 19, comma 2 del D.Lgs. 81/2015, ma prevede anche la clausola di stabilizzazione che impone alle aziende di utilizzare i contratti a tempo determinato solo dopo avere trasformato in rapporto di lavoro a tempo indeterminato almeno per il 25% per cento dei lavoratori il cui contratto a termine, arrotondato all’unità superiore, comunque eccedente il termine dei 24 mesi, sia venuto a scadere nei 12 mesi precedenti.”, fa riferimento alla clausola di stabilizzazione riferita ai lavoratori svantaggiati di cui all’art. 4 della legge 8.11.91 n. 381, riferita, invece, alle classi svantaggiate, che non sono quelle stabilizzate: “2) Clausola di stabilizzazione – Nei riguardi delle categorie di lavoratori di cui al punto 1) primo paragrafo, la facoltà di assunzione a tempo determinato, oppure di proroga e/o rinnovo, che superi il termine di 24 mesi, non è esercitabile dai datori di lavoro che, al momento della stessa, risultino non avere trasformato in rapporto di lavoro a tempo indeterminato almeno il 20% per cento dei lavoratori il cui contratto a termine, arrotondato all’unità superiore, comunque eccedente il termine dei 24 mesi, sia venuto a scadere nei 12 mesi precedenti.”.
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