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Droga e cellulari nel carcere di Barcellona: 12 condanne, 20 anni al capo del gruppo

- 19/06/2025
carceri

Smantellata la rete che gestiva il traffico di eroina e crack dal penitenziario. Il boss dava ordini dalla sua cella con un micro-cellulare, mentre la moglie fungeva da braccio operativo all’esterno.

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La sentenza: oltre 90 anni di carcere

BARCELLONA POZZO DI GOTTO – Si è concluso con una pioggia di condanne, per un totale di oltre 90 anni di carcere, il processo con rito abbreviato scaturito dall’operazione che nell’ottobre del 2024 smantellò due associazioni criminali dedite all’introduzione di droga e telefoni cellulari all’interno della casa circondariale “Vittorio Madia”. Il giudice Ornella Pastore ha emesso pesanti sentenze nei confronti dei 12 imputati, accogliendo quasi integralmente l’impianto accusatorio della Procura.

La pena più alta, 20 anni di reclusione, è stata inflitta al messinese Francesco Esposito, ritenuto a capo di uno dei due gruppi. Pene severe anche per i vertici dell’altra organizzazione, che gestiva il narcotraffico direttamente dal carcere: Luigi Crescenti, di Messina, condannato a 15 anni e 5 mesi, e sua moglie Simona Costa, che dovrà scontare 15 anni e 9 mesi. Tra le altre condanne di rilievo figurano gli 11 anni e un mese inflitti a Francesco Perroni di Milazzo, gli 8 anni e 2 mesi al barcellonese Tommaso Costantino, e pene superiori ai 7 anni per Salvatore Nania, Maria Gnazzitto e Maria Rizzo.

Un’organizzazione gestita dalla cella

L’indagine, condotta dagli agenti del commissariato di Milazzo, aveva messo in luce un sistema ingegnoso e ben collaudato, con un’articolata divisione dei compiti.

Il boss, la moglie e gli ordini via cellulare

Secondo l’accusa, era Luigi Crescenti il vertice del gruppo che operava all’interno delle mura carcerarie. Nonostante fosse detenuto, riusciva a impartire ordini alla moglie Simona Costa grazie a un micro-cellulare, sequestrato durante una perquisizione della Polizia Penitenziaria nella sua cella.

Era la donna il suo braccio operativo all’esterno. Eseguiva le direttive del marito, gestiva la contabilità dei profitti e dei crediti, e preparava le pietanze destinate ai detenuti.

La droga nascosta nel cibo e i pagamenti

All’interno dei cibi, abilmente nascosti in involucri, si trovavano ingenti quantitativi di eroina e crack. Spesso, per la consegna, venivano usati corrieri ignari del reale contenuto dei pacchi. Una volta dentro, la droga veniva smerciata da altri detenuti. Tra questi, un ruolo di primo piano era ricoperto da Francesco Esposito, che vendeva le dosi ai “clienti” reclusi. Il meccanismo di pagamento era altrettanto astuto: i familiari degli acquirenti saldavano il debito direttamente con Simona Costa all’esterno, chiudendo così il cerchio.

Non solo il carcere: la rete all’ingrosso sul territorio

L’inchiesta ha inoltre rivelato come l’organizzazione avesse creato una fiorente attività di spaccio all’ingrosso anche fuori dal penitenziario. Il gruppo guidato dalla coppia Crescenti-Costa fungeva da fornitore per una seconda associazione autonoma, attiva tra Milazzo e San Filippo del Mela, a capo della quale vi era lo stesso Francesco Esposito. In poco più di sei mesi, gli investigatori hanno documentato numerosi episodi di acquisto all’ingrosso dello stupefacente, che da Messina veniva trasportato e distribuito sulla riviera tirrenica, a dimostrazione della vastità e della pericolosità del business criminale.

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