
La Corte d’Appello, presieduta dalla Dott.ssa Caterina Mangano, ha completamente riformato la sentenza di primo grado. L’avvocato Salvatore Sorbello ha dimostrato l’insussistenza del reato, sia sul piano fattuale che su quello giuridico, provando che non vi fu alcun danno per lo Stato.

MESSINA – Si è conclusa con un’assoluzione piena, “perché il fatto non sussiste”, una complessa vicenda giudiziaria che vedeva una donna messinese, P.T., condannata in primo grado alla pena di 8 mesi di reclusione per indebita percezione del reddito di cittadinanza. La Corte d’Appello di Messina, accogliendo in pieno la linea difensiva sostenuta con tenacia dall’avvocato Salvatore Sorbello, ha ribaltato la sentenza emessa dal Tribunale il 16 aprile 2024, restituendo serenità alla sua assistita.
La vicenda trae origine dalla percezione del sussidio da parte della donna nell’anno 2020. Secondo la tesi accusatoria del primo grado, la signora P.T. aveva illecitamente ottenuto il beneficio omettendo di dichiarare la presenza nel proprio nucleo familiare del marito, il quale risultava percettore di redditi da lavoro negli anni 2018-2019 e proprietario di due veicoli. Tale omissione aveva portato alla sua condanna per il reato previsto dall’articolo 7 della legge istitutiva del reddito di cittadinanza.
Proposto appello, l’avvocato Salvatore Sorbello ha lavorato per far emergere una realtà dei fatti ben diversa. In aula, ha dimostrato come la sua assistita fosse di fatto separata dal coniuge, il quale non risiedeva più nell’immobile familiare, e che la donna non era nemmeno a conoscenza della sua esatta posizione anagrafica. Ma la strategia difensiva è andata oltre, attaccando l’impianto accusatorio sul piano del diritto. L’avvocato Sorbello ha infatti rappresentato alla Corte come, in ogni caso, la somma dei redditi dei due coniugi fosse ben al di sotto della soglia massima fissata dalla legge per poter accedere al beneficio.
Un punto, quest’ultimo, che si è rivelato cruciale e che è stato pienamente colto dalla Presidente della Corte d’Appello, la dottoressa Caterina Mangano. Nella sentenza di assoluzione, la Corte ha precisato come nel reato contestato il “dolo specifico” (ovvero l’intenzione di procurarsi un ingiusto profitto) svolga una funzione selettiva, escludendo dal penalmente rilevante quelle condotte che, di fatto, non sono in grado di mettere in pericolo il bene protetto, in questo caso le finanze pubbliche.
Poiché la somma dei redditi della coppia non avrebbe comunque precluso l’accesso al beneficio, è venuta a mancare la stessa sussistenza del reato. L’omissione, pur presente, non era finalizzata a ottenere un vantaggio che non spettasse. Per questa ragione, la Corte d’Appello ha assolto l’imputata con la formula più ampia, “perché il fatto non sussiste”, cancellando la condanna a 8 mesi di reclusione e mettendo la parola fine a un lungo calvario giudiziario.
