20 dicembre 2018 – di Giuseppe Bevacqua
L’Italia si è fermata. La sua crescita si è arrestata rispetto a Francia e Germania, dove tra il 2000 ed il 2017 i salari sono aumentati di almeno dieci volte rispetto ad un’Italia disperata che è in affanno e che si incattivisce sempre più. Adesso si cercano i colpevoli, con spietata determinazione.
Stipendi italiani cresciuti di sole 400 euro l’anno contro i 5000 euro di Germania ed i 6000 euro della Francia. La mancanza di un salario mimino legale, garantito in 28 Paesi europei, mentre sono solo in sei (con l’Italia) a non prevederlo, l’inadeguatezza delle opportunità per i giovani, soprattutto per quelli che provengono dal meridione, la “morte” della speranza che qualcosa possa cambiare da parte del 96% della fascia di popolazione a minor tasso di istruzione e la conseguente fuga della parte migliore dei nostri ragazzi, costituiscono il quadro che il rapporto restituisce.
L’Italia è riuscita ad incrementare il proprio PIL per ora lavorata solo dello 0,14% contro un valore di dieci volte maggiore in Francia e Germania, la crescita che sembrava essersi innescata nell’anno passato si è improvvisamente fermata innescando prima delusione e poi rabbia, che sta diventando, secondo il rapporto Censis, vera e propria cattiveria.
Se nel 2000 il salario medio italiano rappresentava l’83% di quello tedesco, nel 2017 è sceso al 74% e la forbice si è allargata di 9 punti.
Tra il 2007 e il 2017 gli occupati con età compresa tra 25 e 34 anni si sono ridotti del 27,3%, cioè oltre un milione e mezzo di giovani lavoratori in meno. Nello stesso tempo gli occupati di 55-64 anni sono aumentati del 72,8%. In dieci anni siamo passati da un rapporto di 236 giovani occupati ogni 100 anziani a 99. Mentre nel segmento più istruito i 249 giovani laureati occupati ogni 100 lavoratori anziani del 2007 sono diventati appena 143. A rendere ancora più critica la situazione è la presenza di giovani in condizione di sottoccupazione, che nel 2017 ha caratterizzato il lavoro di 237.000 persone di 15-34 anni: un valore raddoppiato nell’arco di soli sei anni. Così come è aumentato sensibilmente il numero di giovani costretti a lavorare part time pur non avendolo scelto: 650.000 nel 2017, ovvero 150.000 in più rispetto al 2011.
” L’Italia è ormai il Paese dell’Unione europea – si legge nel Rapporto Censis 2018 – con la più bassa quota di cittadini che affermano di aver raggiunto una condizione socio-economica migliore di quella dei genitori:
- il 23%, contro una media Ue del 30%
- il 43% in Danimarca
- il 41% in Svezia
- il 33% in Germania.
Il 96% delle persone con un basso titolo di studio e l’89% di quelle a basso reddito sono convinte che resteranno nella loro condizione attuale, ritenendo irrealistico poter diventare benestanti nel corso della propria vita. E il 56,3% degli italiani dichiara che non è vero che le cose nel nostro Paese hanno iniziato a cambiare veramente.
Il 63,6% è convinto che nessuno ne difende interessi e identità, devono pensarci da soli (e la quota sale al 72% tra chi possiede un basso titolo di studio e al 71,3% tra chi può contare solo su redditi bassi).
CATTIVERIA E INTOLLERANZA
La insopportabilità degli altri sdogana i pregiudizi, anche quelli prima inconfessabili. Le diversità dagli altri sono percepite come pericoli da cui proteggersi: il 69,7% degli italiani non vorrebbe come vicini di casa i rom, il 69,4% persone con dipendenze da droga o alcol. ù
Il 52% è convinto che si fa di più per gli immigrati che per gli italiani, quota che raggiunge il 57% tra le persone con redditi bassi. Sono i dati di un cattivismo diffuso che erige muri invisibili, ma spessi. Rispetto al futuro, il 35,6% degli italiani è pessimista perché scruta l’orizzonte con delusione e paura, il 31,3% è incerto e solo il 33,1% è ottimista.
Il 63% degli italiani vede in modo negativo l’immigrazione da Paesi non comunitari (contro una media Ue del 52%) e il 45% anche da quelli comunitari (rispetto al 29% medio).
I più ostili verso gli extracomunitari sono gli italiani più fragili: il 71% di chi ha più di 55 anni e il 78% dei disoccupati, mentre il dato scende al 23% tra gli imprenditori. Il 58% degli italiani pensa che gli immigrati sottraggano posti di lavoro ai nostri connazionali, il 63% che rappresentano un peso per il nostro sistema di welfare e solo il 37% sottolinea il loro impatto favorevole sull’economia.
Per il 75% l’immigrazione aumenta il rischio di criminalità. Cosa attendersi per il futuro? Il 59,3% degli italiani è convinto che tra dieci anni nel nostro Paese non ci sarà un buon livello di integrazione tra etnie e culture diverse.
GLI ITALIANI ED I CONSUMI
Il potere d’acquisto delle famiglie italiane è ancora inferiore del 6,3% in termini reali rispetto a quello del 2008. E i soldi restano fermi, preferibilmente in contanti: nel 2017 si è registrato un +12,5% in termini reali del valore della liquidità rispetto al 2008, a fronte di un più ridotto incremento (+4,4%) riferito al portafoglio totale delle attività finanziarie delle famiglie. La forbice nei consumi tra i diversi gruppi sociali si è visibilmente allargata. Nel periodo 2014-2017 le famiglie operaie hanno registrato un -1,8% in termini reali della spesa per consumi, mentre quelle degli imprenditori un +6,6%. Fatta 100 la spesa media delle famiglie italiane, quelle operaie si posizionano oggi a 72 (erano a 76 nel 2014), quelle degli imprenditori a 123 (erano a 120 nel 2014). Molto difficilmente beni e servizi che non accendono desideri specifici dei singoli consumatori – divenuti ferocemente intelligenti nell’adottare una logica selettiva di egolatrico compiacimento – avranno una potenza attrattiva sufficiente per vincere la tendenza a tenere i soldi fermi, preferibilmente in forma cash.
MENO MATRIMONI E PIù INDIVIDUALISMO. UN FUTURO CHE SI ASSOTTIGLIA ED UN’ITALIA CHE INVECCHIA
Ci si sposa sempre di meno e ci si lascia sempre di più. Dal 2006 al 2016 i matrimoni sono diminuiti del 17,4%, passando da 245.992 a 203.258. A diminuire sono soprattutto gli sposalizi religiosi (-33,6%), mentre quelli civili sono aumentati del 14,1%, fino a rappresentare il 46,9% del totale. Le separazioni sono aumentate dalle 80.407 del 2006 alle 91.706 del 2015 (+14%), mentre i divorzi, anche per impulso della legge sul «divorzio breve», raddoppiano letteralmente, passando dai 49.534 del 2006 ai 99.071 del 2016 (+100%). E cresce la «singletudine»: le persone sole non vedove sono aumentate de 50,3% dal 2007 al 2017 e oggi sono poco più di 5 milioni.
L’ITALIA A DUE VELOCITA’
A fine 2017 il Paese era ancora 4 punti sotto il valore del Pil del 2008, ma con regioni in pieno recupero (-1,3% la Lombardia e -1,5% l’Emilia Romagna) e altre in forte arretramento: -5,0% il Lazio, -6,2% il Piemonte, -7,9% la Campania, -10,3% la Sicilia, -10,7% la Liguria.
IL FALLIMENTO EUROPEO
Nell’Unione europea vive il 6% della popolazione mondiale, si produce il 22% del Pil e l’euro è il secondo mezzo di pagamento negli scambi planetari. Tra l’area dell’euro e l’Ue a 28 Paesi i tassi di crescita nel 2017 risultano allineati intorno al 2,4% e il rapporto debito/Pil è in media al di sotto del 90%. Al più alto Pil pro-capite dell’area dell’euro (quasi 33.000 euro annui, contro i 30.000 dell’intera Ue) si affianca un tasso di disoccupazione di un punto e mezzo in più tra chi non aderisce alla moneta unica. La quota di popolazione esposta al rischio di povertà o esclusione sociale si aggira per le due aree intorno al 22%. Ma emerge il fallimento dei processi di convergenza. Tra i 19 Paesi aderenti all’euro, solo 7 hanno un rapporto debito/Pil inferiore al 60% come stabilito negli accordi di Maastricht, e degli altri 12 sono in 4 a presentare una quota superiore al 100%.
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