
Dal nuovo rendiconto sociale dell’INPS emerge una fotografia impietosa. Aumentano i decessi e la fuga dei giovani tra i 18 e i 39 anni, mentre le nuove assunzioni sono quasi tutte a termine. Un tessuto di micro-imprese sempre più fragili completa un quadro di luci e ombre che interroga la politica.

PALERMO, 8 LUG – C’è un’economia che mostra timidi segnali di ripresa e una società che, invece, sembra scivolare in un lento e inesorabile declino. È il paradosso del Mezzogiorno, e della Sicilia in particolare, fotografato con spietata lucidità dall’ultimo rendiconto sociale regionale 2024 dell’INPS. Durante la presentazione, alla presenza dell’assessore all’Economia, Alessandro Dagnino, le parole della presidente del Comitato regionale Inps Sicilia, Valeria Tranchina, hanno tracciato i contorni di una crisi non solo economica, ma profondamente demografica e sociale.
L’emorragia demografica: una regione che invecchia e perde i suoi figli
Il primo, drammatico, dato è quello dello spopolamento. «In Sicilia aumentano i decessi e diminuiscono le nascite», ha esordito la presidente Tranchina. Un saldo naturale negativo che è ormai una costante, ma che viene aggravato da un’altra emorragia, quella migratoria. «È negativo anche il saldo dei flussi migratori – ha spiegato Tranchina – che vede aumentare rispetto ai due decenni precedenti le uscite verso l’estero e le altre regioni d’Italia».
Il dato più allarmante riguarda chi sceglie di partire: «soprattutto la fascia di età compresa tra i 18 e i 39 anni per entrambi i generi». Non si tratta di un’emigrazione generica, ma di una vera e propria fuga di capitale umano. Sono i giovani, i neolaureati, le forze fresche che dovrebbero costruire il futuro dell’isola a fare le valigie. Una perdita secca di competenze, energie e futuro potenziale, che indebolisce il tessuto sociale e condanna la regione a un progressivo invecchiamento, con tutte le conseguenze del caso sulla sostenibilità del sistema sanitario e previdenziale.
Il paradosso del mercato del lavoro: più occupati, ma con il “contratto a scadenza”
Se la demografia lancia un allarme rosso, il mercato del lavoro risponde con un quadro di chiaroscuri che, a un’analisi più attenta, rivela più ombre che luci. La presidente Tranchina ha infatti registrato «una significativa ripresa del PIL regionale» e «un aumento lieve, rispetto al 2023, dell’occupazione». Dati che, presi singolarmente, potrebbero infondere ottimismo.
Tuttavia, il diavolo, come si suol dire, si nasconde nei dettagli. La qualità di questa nuova occupazione è infatti estremamente bassa. La maggioranza delle assunzioni, concentrate nei settori del commercio, trasporti, ristorazione e costruzioni, si riferisce a contratti a tempo determinato, stagionale, a intermittenza e in somministrazione. In altre parole, lavoro precario, instabile, che non consente di costruire un progetto di vita.
Questo punto è stato ribadito con forza anche dal presidente del Consiglio di indirizzo e vigilanza (CIV) dell’Inps, Roberto Ghiselli: «Ci sono degli indicatori che tendono ad un miglioramento, però dobbiamo stare attenti ad alcuni segnali; per esempio, le nuove assunzioni tornano ad essere in prevalenza a termine». Una crescita economica basata sulla precarietà non è una crescita sana e, soprattutto, non è sufficiente a invertire la rotta dello spopolamento.
Un tessuto imprenditoriale fragile
A completare il quadro c’è la debolezza strutturale del sistema produttivo. Il rapporto INPS evidenzia che «diminuiscono le imprese», segnalando una mortalità aziendale superiore alle nuove nascite. L’aspetto più critico, però, è la loro dimensione: il 96% è rappresentato da micro-imprese, ovvero aziende con meno di 10 dipendenti. Questa polverizzazione del tessuto imprenditoriale significa minore capacità di investimento in innovazione, minore competitività sui mercati nazionali e internazionali e, inevitabilmente, minore capacità di offrire contratti di lavoro stabili e ben retribuiti.
Alla luce di dati impietosi, la Sicilia, e con essa gran parte del Sud, vive su un crinale pericoloso. Le “luci” di una ripresa del PIL sono troppo deboli per dissipare le “ombre” di una crisi demografica gravissima e di un mercato del lavoro che genera più incertezza che opportunità. Senza interventi strutturali che puntino sulla qualità del lavoro, sul sostegno a un’imprenditoria più solida e su politiche attive per trattenere i giovani, il rischio è che lo specchio del futuro restituisca un’immagine sempre più sbiadita. A ciò si aggiunga anche il drammatico cambiamento climatico che sta letteralmente trasformando il panorama ambientale, economico e produttivo del Meridione d’Italia.

