
Dopo mesi di denunce nel silenzio, oggi tutti scoprono il ‘sistema’. Ma la vera anomalia ha radici antiche: quel ‘peccato originale’ del patto di fedeltà che nessuno volle vedere.

Da tempo, anche troppo, scriviamo di contributi a Sud chiama Nord. Abbiamo scritto della loro legittimità in quanto normati dalla legge, ma anche e soprattutto della loro inopportunità se legati a successive o antecedenti nomine o incarichi, o, ancora, affidamenti di lavori e servizi, in seno a Comune, Città Metropolitana, società partecipate. Abbiamo analiticamente descritto quella che è un’anomalia divenuta sistema, che oggi balza all’attenzione anche del quotidiano locale. Ciò avviene, però, dopo mesi che questa piccola pagina, la nostra, ne scrive, ne descrive, ne sottolinea gli aspetti e le strane “coincidenze”. I casi da noi evidenziati sono molteplici e tutti evidenti, peraltro pubblici, visto che, come scrive oggi il collega su Gazzetta, e come sottolinea nella sua difesa anche il sindaco Federico Basile, sono tutti versamenti sottoposti al vincolo del controllo di legittimità. Quindi? Era semplice accorgersi. Bastava “spulciare”, come abbiamo letto oggi, e come avevamo fatto già a suo tempo. Restando, però, come voce nel deserto del silenzio e dell’ignavia.
NON E’ TUTTO A POSTO
Oggi la riflessione si impone proprio sulla difesa, debole, scontata e inefficace, opposta dal Sindaco di Messina Federico Basile, o chi lo ha fatto per lui, che rispondendo a Gazzetta fa riferimenti ad una normativa che seppur vale indubbiamente, non assolve e non risolve i dubbi sulle “coincidenze” tra versamento ed incarico, tra affidamento diretto (troppo spesso) ottenuto e contributo susseguentemente versato. No, la norma non assolve, non giustifica e non contempla, tanto meno autorizza.
Anzi. Tali coincidenze, facilmente accertabili proprio banalmente incrociando i dati dei contributi e le nomine, gli affidamenti per lavori e servizi, denotano una condotta sfacciata e senza remora di critica, e anche peggio. Tanto che anche segretari generali di comuni sotto il controllo politico di Sud chiama Nord versano contributi al partito/movimento, dimenticando il ruolo “super partes” e di garanzia di imparzialità governativa a cui sono formalmente chiamati dalla figura stessa che rivestono.
Così il sistema continua ad andare avanti, e, come scrive il collega, ci poniamo da tempo la stessa domanda che oggi si è posto anche lui: “Quant’è opportuno che chi viene nominato per un incarico X, ricevendo un compenso Y, poi restituisca al partito parte di quel compenso pagato con fondi pubblici?“. Insomma, come definisce la legge questa operazione finanziaria?
IL “PATTO DI FEDELTA’ “. La “mela del peccato” era stata mangiata già all’inizio di Sud chiama Nord.
Le anomalie erano sorte subito, già agli albori di Sud chiama Nord. Mentre oggi l’onorevole Tommaso Calderone e il coordinatore cittadino di Forza Italia, Letterio Pietrafitta, alzano il tiro contro il sistema di potere di Cateno De Luca, riemerge, infatti, una vecchia analisi legale che già nel 2020 aveva definito “nullo” l’accordo-capestro che imponeva penali e contributi agli eletti. Un vincolo in palese violazione della Costituzione e dello stesso Statuto comunale.
La bufera politica che oggi investe il movimento “Sud chiama Nord” sui controversi “patti di fedeltà” imposti ai suoi eletti non è, quindi, un fulmine a ciel sereno. È la cronaca di un vizio d’origine, una crepa strutturale la cui incostituzionalità era stata denunciata, nero su bianco, già quattro anni fa. Un’analisi giuridica tagliente che all’epoca smontò pezzo per pezzo il meccanismo. Ma che, al solito, rimase inascoltata. E rischia di esserlo anche oggi.
La vera “mela del peccato”, per dirla alla De Luca, nasce dal “patto di fedeltà alla città di Messina“, un contratto stipulato tra l’allora associazione “Sicilia Vera” e i candidati delle liste a sostegno di Cateno De Luca. Il patto conteneva due clausole esplosive: l’obbligo per gli eletti di contribuire economicamente alle spese del movimento e, soprattutto, una penale da 100.000 euro in caso di dissenso o allontanamento dalla linea politica del programma.
Già nel 2020, l’avvocato ed esperto di diritto pubblico Nicola Bozzo, interpellato da Letteraemme, aveva bollato quel documento come «afflitto da nullità assoluta, incapace di produrre alcun effetto». Una stroncatura non politica, ma squisitamente giuridica. Vediamo perché.
Un Patto contro la Costituzione
Secondo l’analisi di Bozzo, l’accordo viola i pilastri stessi della nostra democrazia rappresentativa. Innanzitutto, calpesta l’articolo 67 della Costituzione sul divieto di vincolo di mandato. “Il principio,” spiegava il legale, “riguarda sì i parlamentari, ma contiene un principio generale estendibile anche alle assemblee elettive degli enti territoriali”. Un principio così fondamentale da essere richiamato esplicitamente dallo Statuto del Comune di Messina, che all’articolo 54 recita: “I consiglieri comunali rappresentano la comunità ed esercitano le loro funzioni senza vincolo di mandato, con piena libertà di opinione e di voto”. L’eletto, quindi, risponde alla comunità che lo ha votato, non a un’associazione privata o a un leader politico. Il patto, con la sua penale, faceva esattamente il contrario: legava l’eletto non al bene pubblico, ma al timore di una sanzione economica, privatizzando di fatto una funzione pubblica.
La Democrazia Messa in Scacco
Ma le violazioni non si fermavano qui. L’avvocato Bozzo evidenziava la ferita inferta a ulteriori principi costituzionali:
- Articolo 3 (Principio di uguaglianza): Il patto creava una palese disparità tra gli eletti “sotto contratto”, privati della loro libertà, e quelli liberi. Di conseguenza, anche il voto di un cittadino per un candidato “vincolato” valeva di meno, perché la sua preferenza era subordinata agli obblighi di un contratto privato.
- Articolo 97 (Imparzialità della Pubblica Amministrazione): Un consigliere o un assessore che agisce sotto la minaccia di una penale da 100.000 euro può davvero essere imparziale e perseguire il “buon andamento” dell’amministrazione? Il dubbio, secondo il legale, era più che legittimo.
- Articolo 49 (Metodo democratico): Sebbene “Sicilia Vera” non fosse un partito nel senso classico, l’articolo che impone ai partiti di perseguire i loro scopi con metodo democratico rappresenta un faro per l’intero processo di selezione delle cariche elettive. Un contratto con clausole vessatorie appare tutto fuorché democratico.
Una Concezione Premoderna del Potere
La conclusione di Bozzo era netta e senza appello: quel contratto è la «rappresentazione di una concezione premoderna della democrazia per la quale fondamentali funzioni pubbliche e costituzionali diventano oggetto di contratti privatistici con conseguenze obbligatorie e patrimoniali».
DI CONSEGUENZA…
Oggi, con l’attacco frontale di Forza Italia, quelle parole ritornano con forza dirompente. La questione non è più un’analisi per addetti ai lavori, ma un tema centrale dello scontro politico. Le “irregolarità” che allora sembravano un problema di natura giuridica e statutaria sono diventate il simbolo di un metodo di gestione del potere che, dall’ambito locale, “Sud chiama Nord” cerca di esportare su scala più vasta. Le domande, ieri come oggi, restano le stesse: può un mandato popolare essere ipotecato da una scrittura privata? E può un movimento politico che si definiva “rivoluzionario” basarsi su vincoli che appaiono in palese contrasto con la libertà garantita dalla Costituzione?
In ultimo: e adesso? Conoscendo l’atavica e imperdonabile, oltre che inspiegabile, pazienza dei messinesi, adesso, molto probabilmente, nulla.

Che politichese! Che sporcizia di lettura! Ma volete decriptare il linguaggio?Si chiama SCAMBIO,di soldi in cambio di favori.Se si conoscono i donatori,da essi si risale a chi ha ricevuto prebende! Si tratta di scambio politico-mafioso,nient’altro! Buffoni,voler criptare il reato di scambio,come un innocente UT,avete dimenticato il DES.Spiegatelo ciò che è successo.