
In Sicilia, nel giugno scorso, come riferito da un report di CGIL, erano 30mila le persone in attesa di ricovero e 55mila quelle che aspettavano una visita diagnostica.
Taranto, in un’abitazione squilla il telefono. Chi sta chiamando è l’ospedale locale. Risponde una donna alla quale viene comunicato che il reparto ospedaliero aveva inserito il suo coniuge in lista d’attesa per un esame diagnostico richiesto molto tempo prima. La donna risponde che suo marito è morto già da un anno e che aveva dovuto ricorrere ad una visita a pagamento, vista la necessaria urgenza dovuta alla gravità della malattia. E’ un fatto di cronaca dei giorni scorsi che fotografa la gravissima situazione delle liste d’attesa infinite a cui sono sottoposti pazienti per i quali, in molti casi, attendere è un lusso maggiore di quello di sborsare cifre importanti per eseguire subito gli esami diagnostici che possono salvar loro la vita.
MILIONI DI EURO A DISPOSIZIONE
Ma perché la sanità italiana e siciliana, in particolare, non riesce a venir fuori da questo buco nero che allunga le liste d’attesa in modo drammatico? E’ un paradosso ma le risorse per venirne fuori ci sono, ma non vengono utilizzate a sufficienza o vengono, colpevolmente, distolte per essere usate in modo alternativo, per coprire buchi di bilancio delle azienda sanitarie. Chi lo dice? Lo ha già detto e certificato la Corte dei Conti a novembre dello scorso anno. Ma, nonostante rilievo e monito, nulla sembra essere cambiato. E dopo lo scandalo dei referti istologici di Trapani e Marsala la situazione non tende al miglioramento.
Ma quanti soldi sono stati stanziati e quanti utilizzati?

Su un finanziamento totale di € 1.371.956.271, per gli anni dal 2022 al 2024 da parte del Ministero della Salute, le Regioni non ne hanno utilizzato, o lo hanno banalmente accantonato, un ammontare pari a € 323.342.886.
Nel 2023 una delle due fonti di finanziamento presentava una disponibilità di 483,87 milioni, ma la spesa reale si è fermata a 69,13 milioni, ovvero al 29,7%; l’altra, coperta dalla quota vincolata dello 0,3% del fondo sanitario nazionale, presentava 365,48 milioni e ne sono stati usati 171,23, ovvero il 46,9%, senza che, però, ciò abbia comportato un miglioramento per le liste d’attesa proprio per le differenti finalità per le quali sono state utilizzate le risorse.
Ad ogni buon conto, la media dei due capitoli essendo di 239,4 milioni di euro su 803,4, pone la spesa effettiva al di sotto del 30%.

Eppure è dimostrato ed è “palmare” per citare la Corte dei Conti, che laddove i fondi si usano destinandoli alla specifica destinazione d’uso, le liste di attesa si riducono davvero: è il caso del Lazio dove da una media di 42 giorni di attesa nel 2023 si è passati a soli 9 giorni nel 2025.
E in Sicilia?
In Sicilia, nel giugno scorso, come riferito da un report di CGIL, erano 30mila le persone in attesa di ricovero e 55mila quelle che aspettavano una visita diagnostica.
E i fondi? Agli otto milioni stanziati lo scorso agosto, il governo della Regione ne ha aggiunti 10 con l’ultima legge di stabilità a sostegno degli accordi firmati per l’integrativo della specialistica ambulatoriale e il sistema convenzionato per i trapianti di midollo osseo e cornea e gli interventi di chirurgia oncologica. Ma nel luglio 2023 lo stanziamento per abbattere le liste di attesa era di 48,5 milioni di euro. Che fine hanno fatto questi fondi, quanti ne sono stati spesi e come?
L’IRA DEL MINISTRO SCHILLACI

Il Ministro della Salute Orazio Schillaci non è tenero nei confronti delle Regioni: «Non è accettabile – afferma Schillaci – che a distanza di mesi dall’approvazione della legge, ci siano ancora resistenze o ritardi nell’applicazione. Così come non è accettabile rivendicare insufficienza di stanziamenti quando la Corte dei Conti nella sua ultima relazione mette nero su bianco la spesa esigua delle Regioni rispetto ai fondi ricevuti dal 2020 per le liste d’attesa».
Perché i fondi stanziati, insomma, non vengono utilizzati per la loro destinazione, dato che i risultati nelle Regioni che lo fanno sono apprezzabilissimi? E perché si continua ad usarli per coprire i buchi di bilancio? Queste le domande, ma forse la seconda è l’implicita risposta della prima.