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La relazione che è un atto di accusa: cosa dice la relazione della Commissione regionale antimafia della Sicilia in 5 capitoli

- 12/11/2025
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Messina viene descritta nei lavori della Commissione (parlando di “borghesia mafiosa”) come la capitale della zona grigia.

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Cosa c’è scritto nella relazione della Commissione d’inchiesta e vigilanza sul fenomeno della mafia e della corruzione in Sicilia? Sebbene il documento non sia ancora disponibile sul portale dell’ARS, il suo contenuto è desumibile da quanto dichiarato, descritto e denunciato durante l”intervento nella seduta di ieri di Nello Cracolici, Presidente della Commissione. Analizziamo punto per punto i cinque pilastri dell’accusa:

È la trave portante dell’intera relazione. La Commissione denuncia il collasso amministrativo della Regione.

  • L’analisi: La Regione Siciliana ha smesso di fare l’ente di controllo per diventare un mero ente pagatore. Non si verifica la qualità della spesa, né la legittimità sostanziale dei beneficiari.
  • Il rischio: Questo vuoto crea l’habitat perfetto per la corruzione. Se nessuno controlla, la “logica dell’amico” sostituisce la legge. Cracolici ha definito la burocrazia regionale non come una barriera contro l’illegalità, ma spesso come un “colabrodo” che permette tutto.
  • Il focus: Si concentra sull’Istituto Zooprofilattico come case study di malagestione. Nomine illegittime, profili inadeguati ai vertici e un Assessorato alla Salute che per anni ha guardato altrove.
  • L’allarme: Le procedure di selezione del personale e dei dirigenti sono descritte come opache, spesso scritte su misura (“bandi sartoriali”) per favorire candidati predeterminati, aggirando la meritocrazia e aprendo varchi al clientelismo.

La Commissione ha acceso i riflettori sulle concessioni balneari e turistiche.

  • Il meccanismo: I lidi, le strutture ricettive sulla costa e le concessioni demaniali sono diventati il luogo ideale per il riciclaggio di denaro.
  • L’accusa: I controlli antimafia sulle concessioni sono spesso formali e tardivi. Molte strutture operano grazie a prestanome, permettendo ai clan di investire i proventi illeciti nell’economia legale del turismo, ripulendo il denaro sotto la luce del sole.

Un capitolo sociale doloroso, su cui la Commissione ha battuto molto quest’anno. E’ inutile ricordare quanto e da quanto tempo questa pagina ha lanciato allarmi sulla questione… Oggi si assiste come ad un risveglio improvviso, quando la situazione sta letteralmente sfuggendo di mano.

  • Il dramma: La Sicilia è invasa dal crack. La relazione evidenzia come la mafia abbia ripreso il controllo militare del territorio attraverso lo spaccio a basso costo, che devasta le periferie (Ballarò a Palermo, San Cristoforo a Catania).
  • La carenza: Manca un sistema sanitario di recupero adeguato. I SerD (Servizi per le Dipendenze) sono al collasso e la Regione non ha investito abbastanza in prevenzione e strutture di comunità, lasciando le famiglie sole contro i boss dello spaccio. La legge “anti crack” non è adeguata come anche le risorse.

L’ultimo capitolo riguarda il rapporto tra mafia e politica locale.

  • La zona grigia: Non c’è più (solo) la mafia che spara, ma quella che “si fa eleggere” o che condiziona gli eletti. La relazione sottolinea come in molti comuni sciolti per mafia, la burocrazia rimanga al suo posto, perpetuando il sistema di potere anche dopo la cacciata dei sindaci.
  • La proposta: Serve una riforma della legge sullo scioglimento dei comuni, perché colpire solo la politica senza toccare l’apparato amministrativo colluso rende l’azione dello Stato inefficace.

Approfondendo capitolo per capitolo:

Il capitolo sui controlli è l’atto d’accusa più pesante della relazione Cracolici. Non si parla di semplici disfunzioni, ma di una abdicazione istituzionale. La Regione viene descritta come un ente che ha rinunciato alla sua prerogativa fondamentale: verificare prima di erogare.

Ecco come funziona (o non funziona) il meccanismo, punto per punto.

La relazione utilizza questa metafora brutale per descrivere l’atteggiamento della Regione.

  • Il meccanismo: L’amministrazione si preoccupa quasi esclusivamente della fase di “spesa” (erogare fondi, stipendi, contributi) e molto poco della fase di “verifica”.
  • L’effetto: Questo crea un’autostrada per chi vuole approfittarne. Se l’unico obiettivo è “fare la spesa” per ottenere consenso, il controllo diventa un ostacolo fastidioso da rimuovere o aggirare. La Commissione ha rilevato che in molti settori i soldi pubblici escono dalle casse regionali senza che nessuno si sia preso la briga di controllare se il beneficiario avesse davvero i titoli per riceverli.

Uno dei passaggi più critici riguarda la totale mancanza di comunicazione tra i vari rami dell’amministrazione.

  • Vigilanza formale, non sostanziale: Gli Assessorati dovrebbero esercitare un controllo analogo (vigilanza) sugli enti strumentali (come istituti, consorzi, aziende sanitarie). La relazione denuncia che questo controllo spesso si riduce a un mero passaggio di carte.
  • Il caso scuola: L’Istituto Zooprofilattico è l’esempio lampante. Per anni, l’ente ha operato in una sorta di “zona franca”. L’Assessorato alla Salute non ha monitorato le nomine, non ha verificato i bandi, non ha controllato la gestione. Ognuno è rimasto nel suo ufficio, permettendo che all’interno dell’ente si consolidassero logiche di potere opache.

La semplificazione amministrativa, nata per aiutare i cittadini onesti, in Sicilia è diventata spesso un’arma a doppio taglio.

  • Il trucco: Ci si basa troppo sulle autocertificazioni. Le imprese o i soggetti dichiarano di essere in regola, di non avere legami mafiosi, di avere i requisiti tecnici.
  • Il buco: La Regione spesso accetta queste carte “sulla fiducia”, senza incrociare i dati con le Prefetture o le forze dell’ordine in tempo reale. Il controllo scatta solo ex post, spesso quando è troppo tardi e i soldi (o gli appalti) sono già spariti.

Il settore delle concessioni (spiagge, terreni, immobili) è quello dove il mancato controllo fa più danni.

  • Rinnovi automatici: La Commissione punta il dito contro la prassi di rinnovare concessioni decennali senza effettuare nuovi, approfonditi accertamenti antimafia.
  • Prestnomi: Senza un’indagine patrimoniale seria (che la Regione non fa, delegando tutto alle forze di polizia che però non possono coprire ogni singola pratica amministrativa), i beni demaniali finiscono in mano a “teste di legno” che gestiscono i lidi o le attività turistiche per conto dei clan, ripulendo denaro sporco alla luce del sole.

La conclusione politica di questo capitolo è amara. La Commissione afferma che se la politica e la burocrazia non controllano, l’unico filtro rimasto è l’indagine penale. Ma quando arriva la Magistratura, il danno è già fatto: il reato è commesso, i fondi distratti, l’infiltrazione avvenuta. La relazione chiede alla Regione di tornare a fare da “filtro preventivo”, per non lasciare che siano solo le manette a regolare la vita pubblica siciliana.

La Commissione ha scoperchiato un sistema che va oltre la semplice inefficienza, delineando un quadro di permeabilità sistematica agli interessi privati e criminali.

Il dossier, frutto di mesi di audizioni e verifiche (culminate con la relazione specifica approvata nel gennaio 2025 e ribadita ieri), si articola su tre livelli di criticità: l’assenza di controlli, la gestione delle nomine e l’infiltrazione negli appalti.

L’Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Sicilia “A. Mirri” non è stato citato a caso, ma elevato a paradigma di come non dovrebbe funzionare la sanità pubblica.

  • Nomine Illegittime: La Commissione ha contestato duramente la figura di Salvatore Seminara, rimasto ai vertici dell’ente per nove anni (prima come Commissario straordinario, poi in proroga). Secondo l’Antimafia, Seminara non possedeva i requisiti di legge (non era nell’elenco nazionale degli idonei a direttore generale e aveva superato i limiti di età). Nonostante ciò, è stato nominato e mantenuto in carica.
  • L’Assessorato “Fantasma”: L’accusa più grave è rivolta all’Assessorato regionale alla Salute. Per anni, gli uffici di Piazza Ottavio Ziino non hanno esercitato la dovuta vigilanza, ignorando il fatto che un ente strategico (che gestisce la sicurezza alimentare e la salute animale) operasse in una sorta di vuoto normativo.
  • Gestione Opaca: Durante questo “regno incontrastato”, sono stati deliberati atti che andavano ben oltre l’ordinaria amministrazione: concorsi banditi, piante organiche modificate e promozioni interne, il tutto senza il necessario nulla osta preventivo o controllo successivo da parte della Regione.

La relazione allarga lo sguardo oltre lo Zooprofilattico, puntando il dito contro il metodo generale di selezione della classe dirigente sanitaria (Direttori Generali di ASP e Aziende Ospedaliere).

  • Bandi “Sartoriali”: Viene denunciata la prassi di confezionare bandi di concorso con requisiti talmente specifici da sembrare cuciti addosso a candidati predestinati. Questo trasforma i concorsi pubblici in formalità burocratiche per ratificare scelte già prese altrove.
  • La Logica dell’Appartenenza: Le nomine non seguono logiche di competenza sanitaria, ma di spartizione politica. La sanità, assorbendo circa il 50% del bilancio regionale (oltre 9 miliardi di euro), è considerata il principale bacino di consenso elettorale. Chi controlla le nomine controlla i voti, creando una catena di fedeltà che lega il primario al direttore generale, e quest’ultimo al politico di riferimento.

Se la politica cerca voti, la mafia cerca soldi. La relazione evidenzia come la criminalità organizzata abbia cambiato strategia:

  • I Servizi “No Core”: I clan non puntano tanto alle nomine mediche, quanto ai servizi esternalizzati: mense, pulizie, lavanderia, smaltimento rifiuti ospedalieri, vigilanza. Sono settori ad alta intensità di manodopera e basso contenuto tecnologico, perfetti per le imprese in odore di mafia che riescono a vincere appalti al massimo ribasso, spesso riciclando denaro sporco.
  • Il “Sistema” delle Forniture: C’è un allarme specifico sulle forniture di dispositivi e tecnologie. La frammentazione degli acquisti (nonostante la presenza di centrali uniche come la CUC) permette ancora troppe discrezionalità locali, aprendo varchi a corruzione e turbative d’asta.
  • L’Economia Parallela: La relazione cita dati DIA che mostrano come il settore sanitario sia tra quelli a maggior rischio di interdittive antimafia. Le aziende colpite spesso rinascono sotto nuovo nome (prestanome o “teste di legno”), rientrando nel giro degli appalti pubblici grazie a controlli preventivi che la Regione fatica a implementare tempestivamente.

Se la sanità è il bancomat per il consenso, il demanio marittimo è la grande lavatrice per il denaro sporco. La relazione svela come le spiagge siciliane non siano solo una risorsa turistica, ma un asset finanziario fondamentale per i clan.

La mafia ha spostato il tiro. Non interessa più (o non solo) il controllo del territorio tramite estorsione, ma la gestione diretta dell’economia turistica.

  • Cash Flow: Stabilimenti balneari, lidi, chioschi e parcheggi sono attività che generano enormi flussi di denaro contante, difficilmente tracciabile. Sono perfetti per il riciclaggio: il denaro proveniente dalla droga o dalle scommesse illegali viene immesso nelle casse del lido e ne esce “pulito” come incasso turistico.
  • Controllo Sociale: Gestire la spiaggia del paese significa dare lavoro (spesso in nero), decidere chi entra e chi no, e mantenere un controllo capillare sulla comunità locale.

La Commissione ha denunciato l’estrema difficoltà nell’individuare i veri titolari delle concessioni.

  • Schiacciamento burocratico: Le concessioni sono quasi sempre intestate a società “pulite” sulla carta, gestite da incensurati (spesso parenti o figure di comodo) che coprono i veri proprietari mafiosi.
  • Il limite dei controlli: La Regione si limita spesso a richiedere la documentazione antimafia formale (che il prestanome supera agevolmente). Manca, secondo la relazione, una capacità investigativa che vada a scavare sui flussi finanziari che hanno permesso l’acquisto o l’avvio di quell’attività. Chi ha messo i soldi per ristrutturare quel lido? Spesso la domanda resta senza risposta.

È qui che la burocrazia diventa complice, anche se involontaria.

  • Rinnovi Automatici: Per anni, il sistema delle proroghe automatiche delle concessioni demaniali ha cristallizzato la situazione. Chi aveva una concessione 10 o 20 anni fa (magari ottenuta quando i controlli erano blandi o nulli) se l’è vista rinnovare senza mai subire un nuovo, vero screening approfondito.
  • Diritto ereditario: Si è creata una sorta di “ereditarietà” delle spiagge. Questo immobilismo ha impedito la concorrenza e ha permesso alle famiglie mafiose di consolidare la loro posizione, trasformando tratti di costa pubblica in feudi privati intoccabili.

Un altro aspetto inquietante emerso è quello economico-amministrativo.

Morosità tollerata: La relazione ha evidenziato casi di gestori morosi che continuano a operare indisturbati. L’amministrazione regionale fatica a revocare le concessioni anche di fronte a palesi irregolarità nei pagamenti, lasciando che questi soggetti continuino a sfruttare il bene pubblico.

Canoni irrisori: A fronte di fatturati (reali o gonfiati per il riciclaggio) molto alti, i canoni pagati alla Regione per l’uso del suolo pubblico rimangono spesso irrisori.

La Commissione Antimafia ha definito la diffusione del crack in Sicilia come una “epidemia sociale”. Se negli anni ’80 e ’90 l’eroina uccideva lentamente, il crack distrugge velocemente e a basso costo, permettendo alle famiglie mafiose di rioccupare fisicamente i quartieri.

L’economia della morte a basso costo Il dato economico è il primo allarme lanciato dalla relazione: una dose costa tra i 5 e i 10 euro.

  • Accessibilità: Un prezzo così basso ha abbattuto ogni barriera all’ingresso. Il crack è diventato la droga degli adolescenti e persino dei pre-adolescenti (segnalati casi di consumatori di 12-13 anni).
  • Il business dei clan: Per la mafia, il crack è il prodotto perfetto. Crea dipendenza immediata (fedeltà del cliente), si consuma in fretta (alta rotazione) e richiede una rete di vendita capillare. Questo “obbliga” i clan a presidiare militarmente le strade con vedette e pusher, riaffermando il loro potere visibile sul territorio.

La relazione cita quartieri simbolo trasformati in “supermarket a cielo aperto”.

  • Palermo (Ballarò/Sperone): Ballarò è descritta come l’epicentro del fenomeno. Qui lo spaccio avviene alla luce del sole, tra i turisti e i mercati storici. La Commissione ha denunciato l’esistenza di vere e proprie “case del crack”, appartamenti occupati dove si consuma e si muore lontano da occhi indiscreti.
  • Catania (San Cristoforo): La situazione è speculare. Interi isolati sono inaccessibili alle forze dell’ordine se non con blitz massicci. In queste zone, la mafia offre un “welfare criminale”: dà lavoro ai ragazzi come vedette, sostituendosi a uno Stato assente.

L’accusa politica più forte riguarda la risposta sanitaria, definita “totalmente inadeguata”. Ci permettiamo di aggiungere che noi lo scrivevamo già nel 2024…

  • Uffici, non soccorsi: I SerD siciliani sono descritti come uffici burocratici aperti solo in orari d’ufficio. Ma il crack non conosce orari: le crisi avvengono di notte, nel weekend.
  • Mancanza di strutture: Mancano le comunità terapeutiche a “doppia diagnosi” (per chi ha problemi psichiatrici legati all’uso di sostanze). Le famiglie sono lasciate sole a gestire figli violenti e ingestibili, costrette spesso a chiamare la polizia per arrestarli pur di salvarli dalla strada.
  • Il vuoto legislativo: La Commissione ha spinto per una legge regionale (in discussione) che istituisca un “osservatorio” e potenzi i servizi di strada, ma la relazione lamenta che i tempi della politica sono troppo lenti rispetto alla velocità con cui la droga divora una generazione.

Il crack serve alla mafia per due scopi strategici, evidenziati nel dossier:

Controllo: Trasforma le piazze di spaccio in fortini inespugnabili. La presenza costante di droga degrada il tessuto sociale, allontana i cittadini onesti e le attività commerciali legali, lasciando il campo libero ai boss.

Reclutamento: Crea un esercito di disperati disposti a tutto per una dose (furti, scippi, piccola manovalanza).

La Commissione Antimafia ha toccato un nervo scoperto: la normativa attuale sullo scioglimento dei comuni per mafia è inefficace, o quantomeno incompleta. L’analisi presentata a Sala d’Ercole demolisce la retorica secondo cui “cacciare il sindaco” risolva il problema.

Il punto centrale della relazione è che lo scioglimento colpisce la politica (sindaci, assessori, consiglieri) ma lascia quasi intatta la burocrazia.

  • La continuità amministrativa: I boss e i colletti bianchi collusi sanno che i sindaci passano, ma i capi ufficio, i dirigenti tecnici e i funzionari restano. Quando arrivano i Commissari prefettizi, spesso si trovano a governare con la stessa macchina amministrativa che ha permesso (o agevolato) le infiltrazioni.
  • Il “Gattopardo” burocratico: La relazione evidenzia come, in molti comuni sciolti, le pratiche illecite continuino anche sotto la gestione commissariale, proprio perché chi istruisce le pratiche è lo stesso funzionario di prima.

Cracolici ha lanciato una proposta provocatoria ma necessaria: riformare il Testo Unico degli Enti Locali (TUEL). L’idea è che quando un comune viene sciolto per mafia, debba esserci un meccanismo di rotazione o sospensione automatica anche per i vertici burocratici apicali (ufficio tecnico, ragioneria, appalti). Senza recidere questo legame, lo scioglimento è solo una “pausa” per i clan, che aspettano le nuove elezioni per riprendere il controllo.

Per quanto riguarda Messina, dalla sintesi della relazione e dal dibattito d’aula di ieri, emerge un quadro peculiare. Non ci sono stati i “titoli cubitali” riservati a Palermo o Catania (con le loro piazze di spaccio), ma un’attenzione diversa, più sottile.

Nella presentazione generale di ieri non sono emersi nuovi casi eclatanti di scioglimento immediato per la provincia di Messina (al contrario del passato recente con i casi dei Nebrodi, come Tortorici o Mojo Alcantara). Tuttavia, Messina rientra pienamente nell’allarme lanciato sulla “Mafia dei Pascoli” e sulla gestione dei fondi europei. L’area dei Nebrodi resta “osservata speciale”. La relazione conferma che in questa zona la mafia si è fatta “imprenditrice agricola” per intercettare i fondi AGEA. Qui il tema della “burocrazia compiacente” (trattato nel capitolo generale) calza a pennello: le truffe sui fondi UE non si fanno con le pistole, ma con le carte bollate e i silenzi degli uffici.

Messina viene descritta nei lavori della Commissione (e questo report lo conferma indirettamente parlando di “borghesia mafiosa”) come la capitale della zona grigia.

Il rischio “Demanio”: Il capitolo sulle coste (che ti ho illustrato prima) tocca da vicino il messinese, che ha uno sviluppo costiero enorme e di altissimo valore turistico (Taormina, Eolie, costa tirrenica). È qui che la Commissione accende il faro per Messina: il rischio che le concessioni balneari diventino il rifugio per capitali illeciti è altissimo, proprio per l’alto valore economico del litorale.

Mentre a Catania si spara e a Palermo si traffica droga, a Messina si tessono relazioni. La relazione sottolinea come in queste aree il rischio non sia l’occupazione militare, ma la massoneria deviata e la commistione tra politica, impresa e amministrazione.

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