
CATANIA – L’unico, supremo e invalicabile interesse è quello del minore. Tutto il resto è cornice, un complesso scenario giudiziario e umano che si dipana sull’asse invisibile tra una Kiev ferita dalla guerra e le pendici dell’Etna, diventate un rifugio inatteso. Al centro di questa intricata vicenda ci sono dei bambini, orfani ucraini fuggiti dall’orrore delle bombe nel 2022, accolti dal calore di famiglie affidatarie siciliane. Una storia di speranza bruscamente interrotta, due anni fa, da un ordine di rimpatrio che si è abbattuto come un fulmine a ciel sereno.
Da quel momento si è innescata una battaglia legale e diplomatica che ha visto la Procura di Catania scendere in campo per proteggere questi minori, i quali, a più riprese e con disperata lucidità, hanno gridato al mondo la loro volontà: restare in Italia, lontano dagli orfanotrofi da cui erano stati allontanati proprio per metterli in salvo.
Due fronti, una sola verità: la sicurezza dei bambini

La vicenda si biforca quasi subito in due percorsi paralleli e conflittuali, uno civile e uno penale, entrambi destinati a pesare sul futuro di questi ragazzi. Da un lato, il console ucraino nomina una tutrice legale, Yuliya Dynnichenko, con il mandato esplicito di curare ogni fase del rientro dei minori nelle strutture originarie. Strutture situate in un Paese ancora sotto il fuoco dell’esercito russo.
Dall’altro lato, l’autorità giudiziaria catanese, fiutando un potenziale e grave “conflitto d’interesse”, nomina un curatore speciale. La magistratura italiana ritiene che le azioni della tutrice designata non siano allineate con il principio fondamentale della sicurezza e del benessere del minore, sancito dalle Convenzioni internazionali ed europee sui diritti del fanciullo. La priorità, per i giudici etnei, non è il rimpatrio in sé, ma la garanzia di un futuro sereno per chi ha già sofferto troppo.
Le pesanti accuse della Procura
È nel filone penale che la contesa assume i contorni più cupi. Il procuratore aggiunto Sebastiano Ardita e il sostituto Francesco Camerano hanno chiesto il rinvio a giudizio per Yuliya Dynnichenko. L’udienza preliminare è fissata per il prossimo 23 ottobre, e le accuse sono gravissime: minacce, estorsione e truffa.
Secondo l’impianto accusatorio, la tutrice avrebbe esercitato una violenza psicologica inaudita su almeno due degli orfani per piegare la loro volontà e “convincerli” ad accettare il rimpatrio. Li avrebbe minacciati di usare la forza, prospettando a uno di loro una fantomatica famiglia adottiva pronta ad accoglierlo in Ucraina, pur di ottenere il suo assenso. A una ragazza, invece, avrebbe aspramente rimproverato di essersi rivolta a un tribunale italiano, continuando a esercitare pressioni nonostante il suo fermo e ripetuto rifiuto.
Ma non è tutto. Dynnichenko, insieme al compagno Christian Fiumara, è accusata anche di aver minacciato le famiglie affidatarie di ritorsioni – la più grave, la sottrazione immediata del minore – qualora non avessero versato somme tra i 500 e i 1.500 euro, mascherate da “rimborsi per spese di viaggio”. Infine, l’accusa di truffa: la coppia avrebbe utilizzato l’associazione “I nuovi confini” per organizzare eventi a scopo benefico, ma i fondi raccolti, destinati a progetti di solidarietà, sarebbero finiti direttamente nelle loro tasche.
La difesa e il groviglio civile
La difesa, sostenuta dall’avvocato Giuseppe Lipera, rigetta ogni addebito. “Le accuse sono infondate in fatto e in diritto”, ha dichiarato il legale, sottolineando che la sua assistita ha sempre agito in virtù di una nomina ufficiale del console ucraino. La linea difensiva è chiara: Dynnichenko era un’autorità legittima che eseguiva un mandato. Nel frattempo, le denunce per sottrazione di minore presentate dalla stessa tutrice contro le famiglie affidatarie sono state archiviate dal GIP, un primo punto a favore della tesi italiana.
Sul fronte civile, la confusione regna sovrana. La questione centrale è la legittimità della nomina di un curatore italiano a fronte di una tutrice già designata dall’Ucraina. La Corte di Cassazione ha emesso due sentenze contrastanti. A dicembre 2023, ha riconosciuto la competenza del giudice di Caltagirone, respingendo il ricorso della tutrice. Pochi mesi dopo, a marzo, di fronte a un caso parallelo a Catania, gli stessi “ermellini”, consci della delicatezza diplomatica della materia, hanno preferito non decidere, rimettendo la questione alle Sezioni Unite. La pronuncia definitiva, attesa entro la fine dell’anno, sarà cruciale per definire quale giurisdizione prevarrà.
In questo labirinto di carte bollate, competenze contese e accuse infamanti, resta sospesa la vita di alcuni ragazzi. La loro voce, chiara e forte, chiede solo una cosa: la possibilità di crescere in pace, in quella che ormai considerano la loro casa. Un diritto fondamentale che attende di essere riconosciuto, al di là di ogni cavillo e di ogni confine.









