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Il Triangolo delle Bermuda dei cantieri messinesi: dove gli operai svaniscono nel nulla

- 13/09/2025
ihub 11
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Messina, città di miti e leggende, si arricchisce di un nuovo, insondabile mistero: quello dei suoi cantieri. Appaiono all’improvviso, annunciati in pompa magna da comunicati trionfali e conferenze stampa piene di sorrisi. Si aprono, sventrano strade, abbattono alberi, creano disagi… e poi, semplicemente, svaniscono. Non le opere, si intende, ma gli operai, i mezzi, i lavori. Restano solo le transenne, monumenti arrugginiti a un’eterna attesa, in un inspiegabile limbo che inghiotte promesse e finanziamenti.

Un esempio da manuale di questo fenomeno paranormale è la Piscina Cappuccini. Lo scorso 19 giugno, con una delibera che sapeva di svolta, la struttura veniva affidata alla Messina Social City. Il tutto forte di una relazione dei Servizi Manutentivi che ne decretava addirittura la “possibilità di utilizzo parziale”. Una formula magnifica, quasi poetica. Peccato che l’unico utilizzo che se ne possa fare oggi sia quello di contarne le piastrelle rotte da dietro un cancello sbarrato. L’impianto è chiuso, i lavori fermi. Forse “utilizzo parziale” significava che si poteva guardare, ma non toccare.

piscina cappuccini

Scendendo verso il viale Giostra, incontriamo un altro altare al progresso immobile: l’ennesimo parcheggio di interscambio. Per realizzarlo, si è compiuto senza esitazione il sacrificio di numerosi platani, martiri sull’asfalto della mobilità futura. Ora, però, il cantiere giace in un silenzio tombale. Gli alberi da un lato della strada non ci sono più, e ancora non è chiaro il perché, il parcheggio non c’è. Nel mezzo, il vuoto. Un vuoto che, evidentemente, non disturba il sonno di nessuno.

E che dire del mercato Vascone? Qui il mistero si tinge di giallo e di teatro. Per mesi, il cantiere è rimasto deserto, un set cinematografico abbandonato. Quando la stampa e un coraggioso presidente di Circoscrizione osarono chiedere spiegazioni, si scatenò l’ira funesta dell’assessore Finocchiaro, le cui vesti, si narra, si stracciarono per l’indignazione di fronte a tanta lesa maestà. Solo di recente, quasi sottovoce, si è appreso di non meglio specificati “problemi con l’impresa”. Problemi che, a quanto pare, per essere confessati hanno richiesto più tempo che per far ripartire i lavori. E la scadenza prevista sarà impossibile rispettarla, con buona pace dei commercianti del mercato costretti a lavorare al cospetto dei cari estinti del Gran Camposanto, in una sorta di commistione tra sacro e profano.

La passeggiata nell’assurdo prosegue sul viale San Martino, la cui riqualificazione, non richiesta e sgradita ai più, procede con la velocità di un bradipo zoppo. Ritardi cosmici hanno trasformato la vita di commercianti e residenti in un percorso a ostacoli, un test di pazienza quotidiano che nessuno aveva chiesto di sostenere. Ieri la colpa era dei sottoservizi, oggi di chi o cosa sarà?

E della ormai ex area del fantomatico I-HUB? Vogliamo parlarne? Visti i cumuli di pietre e di spazzatura … è meglio non parlarne.

Ma il capolavoro assoluto dell’avanguardia amministrativa è la tranvia. Dove si sta lavorando? Su quale binario? In quale dimensione spazio-temporale? Nessuno lo sa, nessuno vede. Eppure, l’assessore al ramo, Salvatore Mondello, con la serafica calma di chi possiede una conoscenza superiore, ha recentemente illuminato le nostre menti profane con una profezia: “Entro il 2026 sarà pronta metà della tranvia”. Metà. Non tutta, ma metà. Una rivelazione che apre a domande filosofiche vertiginose. E per l’altra metà, si dovrà attendere il 2052? Si procederà per quarti, per ottavi? È un’opera pubblica o un problema di matematica della scuola elementare?

La surreale vicenda del Palazzo Satellite chiude il cerchio. In un impeto di efficientismo, si eliminano i balconi. Poi, in piena estate, si rimuovono i condizionatori, lasciando i dipendenti a lottare contro temperature sahariane. Ma ecco il colpo di genio: per rimediare, si forniscono costosissimi condizionatori portatili, comprati dall’impresa assegnataria dell’appalto, in un trionfo di efficienza energetica pagato, ovviamente, dalla collettività. Ora, anche lì, cantiere chiuso e tutto fermo. La logica ha abbandonato l’edificio.

Di fronte a questo campionario di immobilismo e decisioni sconcertanti, la domanda sorge spontanea e angosciante: cosa sta accadendo a Messina? È una strategia? Un esperimento sociale per testare i limiti della sopportazione umana?

E mentre ci si perde in questi dilemmi locali, all’orizzonte si profila l’ombra ciclopica del Ponte sullo Stretto. Quando inizieranno i lavori? Ma soprattutto, che accadrà? Se questa è la capacità di gestione di un mercato rionale o di una piscina comunale, cosa dobbiamo aspettarci dall’opera più grande della storia d’Italia? Riusciranno a costruirne “metà” per il 2300? O diventerà il più grande e costoso cantiere fantasma del mondo, il capolavoro definitivo del Triangolo delle Bermuda messinese? Ai posteri, forse, l’ardua sentenza. Sempre che, per allora, qualcuno si ricordi ancora di come si finisce un’opera.

Mercato Vascone
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