
L’intervento della Regione certifica il fallimento politico e amministrativo dell’ente di vertice, incapace persino di approvare un bilancio.
Nella pioggia di commissariamenti che ha colpito la provincia di Messina, c’è un nome che pesa più di tutti gli altri e che trasforma una crisi amministrativa in una vera e propria umiliazione istituzionale: quello della Città Metropolitana di Messina. L’ente di vertice, la casa madre che dovrebbe guidare, programmare e coordinare lo sviluppo di 108 comuni, non è in grado di governare se stesso. È questo il segnale, gravissimo, che arriva dal decreto regionale che ne certifica l’inadempienza.
Il paradosso è totale. La Città Metropolitana, responsabile per statuto di assi strategici come la viabilità provinciale, l’edilizia scolastica superiore e la pianificazione territoriale, ha fallito l’esame più elementare: approvare in tempo il rendiconto di gestione, il documento che attesta come sono stati spesi i soldi pubblici nell’anno precedente. In sostanza, l’ente che dovrebbe disegnare il futuro del territorio non è riuscito a certificare il proprio passato.
Questo non è un semplice ritardo tecnico, ma una sconfitta politica e amministrativa che mina dalle fondamenta la credibilità dell’intera classe dirigente metropolitana. Che autorevolezza può avere un ente che ha bisogno di un tutore inviato da Palermo per fare i propri conti? Come può la Città Metropolitana porsi come guida per i 40 comuni della provincia anch’essi commissariati, se essa stessa è la prima a dare il cattivo esempio?
Mentre in altre province si contano una decina o una quindicina di comuni inadempienti, Messina fa “cappotto” con 40 municipi che necessitano di un tutore esterno, a cui si aggiunge l’ente di secondo livello, quella Città Metropolitana che dovrebbe guidare lo sviluppo del territorio e che invece non riesce nemmeno a chiudere i propri bilanci in tempo.
E in questo scenario di profonda crisi gestionale, suonano come una beffa le parole dell’assessore regionale Andrea Messina. Da Palermo si celebra un calo generale dei commissariamenti in Sicilia, definendo il dato “incoraggiante” e frutto di “crescente attenzione e responsabilità”. Una visione ottimistica che si scontra violentemente con la realtà messinese. Di quale “responsabilità” si può parlare quando un’intera provincia si dimostra incapace di adempiere a uno degli obblighi più basilari della pubblica amministrazione?
L’arrivo dei commissari ad acta, funzionari inviati da Palermo, non è una soluzione, ma la pubblica ammissione di una sconfitta. Saranno loro a dover fare il lavoro che sindaci, giunte e consiglieri comunali non sono stati in grado di portare a termine. La loro azione sostitutiva è definita “ultima ratio”, un intervento estremo che a Messina, sembra essere diventato prassi, un rituale che si ripete stancamente.
Il fallimento del vertice si riflette a cascata, generando un’immagine di paralisi generalizzata. L’arrivo di un commissario ad acta per svolgere le funzioni dell’organo politico non è solo un atto burocratico, ma una manifesta dichiarazione di sfiducia da parte della Regione. È il commissariamento di un’intera visione di governo del territorio, che si scopre fragile e inconsistente alla prova dei fatti.
Con i conti in disordine e la credibilità azzerata, la domanda sorge spontanea: quale visione strategica può offrire oggi la Città Metropolitana di Messina? L’intervento sostitutivo della Regione non è la cura, ma solo il sintomo più evidente di una malattia che colpisce il cuore stesso del sistema: un vertice istituzionale che, palesemente, ha perso la rotta.












Buone vacanze.