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Diffamazione, la Corte d’Appello di Messina dà ragione ai giornalisti: “Nessun danno all’immagine di Rosario Cattafi e della Dibeca”

- 17/07/2025
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Confermata la sentenza di primo grado del Tribunale di Barcellona Pozzo di Gotto. Gli articoli del 2009, incentrati sull’affare del Parco Commerciale, sono stati ritenuti legittimo esercizio del diritto di cronaca e frutto di un’inchiesta dettagliata.

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MESSINA – Non ci fu alcuna diffamazione. I giornalisti Antonio Mazzeo, Antonello Mangano, Peppino Restifo, Enrico Di Giacomo, Giorgio Bongiovanni, Aldo Romaro e Emanuele Scimone hanno agito nel pieno rispetto del diritto di cronaca. Si chiude così, con una netta conferma, la vicenda legale che li vedeva contrapposti all’imprenditore Rosario Pio Cattafi e alla società Dibeca s.a.s. .

La Seconda Sezione Civile della Corte d’Appello di Messina, presieduta dal giudice Giuseppe Minutoli e composta dai giudici Antonino Zappalà e Maria Luisa Tortorella, ha respinto il ricorso presentato nel gennaio 2023 dalla Dibeca s.a.s. (rappresentata legalmente dall’avvocato Chiara Mostaccio). La società aveva impugnato la sentenza emessa nel giugno 2022 dalla giudice Elsa Di Giovanni del Tribunale di Barcellona Pozzo di Gotto. Già in primo grado, era stata rigettata la richiesta di risarcimento danni avanzata dagli architetti Mario e Santino Nastasi, da Giovanni Cattafi e dalla stessa Dibeca, società di cui in passato aveva fatto parte anche Rosario Pio Cattafi.

Al centro della controversia vi erano una serie di articoli pubblicati tra settembre e novembre del 2009 sul sito ‘www.antimafiaduemila.com‘ e sul blog ‘www.enricodigiacomo.org’. Le inchieste giornalistiche accendevano i riflettori sull’affare del Parco Commerciale di Barcellona Pozzo di Gotto, analizzando il ruolo della società Dibeca e i legami con la famiglia dell’imprenditore Rosario Pio Cattafi, il quale ha ricevuto una condanna definitiva a 6 anni di reclusione per associazione di stampo mafioso il 16 maggio 2023.

Già la sentenza di primo grado aveva riconosciuto la qualità del lavoro giornalistico. La giudice Di Giovanni aveva definito gli articoli contestati come il risultato di “un lavoro di ricerca delle fonti minuzioso e dettagliato, sintomatico dell’interesse a richiamare l’attenzione dell’opinione pubblica su fatti e avvenimenti socialmente rilevanti”.

La Corte d’Appello ha ora pienamente condiviso questa valutazione, ritenendo insussistenti le accuse e confermando che l’operato dei giornalisti non ha leso l’immagine dei querelanti, ponendo fine a una battaglia legale durata anni e riaffermando il valore del giornalismo d’inchiesta.

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