
In aula lo scontro tra la trincea dei garantisti e chi chiede un passo indietro. Ma il vero imputato, per molti, è un intero “sistema”.

PALERMO – Un’aula parlamentare trasformata in un’arena politica, dove la difesa istituzionale di un uomo si scontra con la denuncia di un sistema. La giornata all’Assemblea Regionale Siciliana dedicata all’inchiesta per corruzione che coinvolge il suo Presidente, Gaetano Galvagno, è stata un condensato di strategie politiche, distinguo e accuse incrociate. Galvagno ha scelto la linea della fermezza istituzionale, ma le reazioni dei deputati hanno svelato un parlamento spaccato, non solo tra maggioranza e opposizione, ma anche al suo interno, sul confine tra garantismo, opportunità politica e responsabilità.
La linea del Presidente: difendere il ruolo per difendere sé stesso
Gaetano Galvagno ha così costruito la sua difesa su un doppio binario: separare l’uomo indagato dal ruolo che ricopre, rifiutando le dimissioni per non sancire il principio di una condanna mediatica. “Mai ho messo il mio ruolo a disposizione di interessi personali“, ha dichiarato, presentandosi come custode delle istituzioni e delle garanzie costituzionali. Ha atteso, ha spiegato, dice Galvagno “per non usare il Parlamento come megafono personale”, e ora resiste per non piegare la Costituzione alla pressione digitale. Una strategia chiara, che ha trovato sponde ma anche dure critiche nel successivo dibattito.
Il dibattito: tre modi di intendere la crisi
Dalle parole dei deputati sono emerse essenzialmente tre posizioni.
1. Il Garantismo Critico: “Questa vicenda è paradigmatica di un degrado“ La posizione più articolata è forse quella del democratico Antonello Cracolici. Pur partendo da una premessa “assolutamente garantista“, ha spostato il focus dalla responsabilità individuale a quella collettiva. “Questa vicenda fa emergere un contesto di degrado“, ha affermato, sottolineando che chi svolge funzioni pubbliche non può appellarsi solo ai diritti individuali. Per Cracolici, il punto non è se l’Ars sia un “luogo criminogeno“, ma se qualcuno possa “tradire le ragioni per cui la democrazia funziona per averne un tornaconto personale“. Una linea condivisa, con accenti diversi, dal M5S. Antonino De Luca che ha parlato di “imbarazzo” e della necessità di “abbandonare le logiche del maxi-emendamento“, suggerendo che la banalità dei fatti contestati (“biglietti di concerti”) nasconda un problema di metodo più profondo.
2. L’Attacco Frontale: “Galvagno si autosospenda, Schifani chieda le dimissioni di Amata“ Senza mezzi termini la posizione di Ismaele La Vardera (Controcorrente), che ha respinto l’approccio attendista. “O noi rispettiamo la funzione pubblica della stampa, o cambiamo Paese e ci trasferiamo in Uzbekistan“, ha esordito, chiedendo un’assunzione di responsabilità immediata. Per La Vardera, il quadro che emerge dalle indagini (“soldi pubblici utilizzati come fossero i suoi, presunte consulenze a parenti“) mette Galvagno in una posizione di conflitto insanabile. La sua richiesta è netta: “Presidente Galvagno si deve auto-sospendere e, nel caso fosse rinviato a giudizio, si dovrà dimettere“. Una posizione rafforzata dalla richiesta al Presidente Schifani di rimuovere l’assessora Elvira Amata, anch’ella indagata, perché “la politica deve arrivare prima della magistratura”.
3. La Diga Garantista: “No alla gogna mediatica, questo è un massacro“ Dalla maggioranza, ma non solo, si è levato un muro a difesa del Presidente e, soprattutto, del principio di innocenza. Giuseppe Lombardo (Grande Sicilia) ha parlato di “stillicidio mediatico senza precedenti“, mentre Carmelo Pace (Dc) ha definito l’intervento di Galvagno un “atto di rispetto delle istituzioni”, dicendo “no alla gogna mediatica e ai processi in parlamento“. Sulla stessa linea Stefano Pellegrino (Forza Italia), che da avvocato ha denunciato il “processo mediatico parallelo“, e Giorgio Assenza (Fratelli d’Italia), secondo cui “l’opinione pubblica è sempre più famelica di sangue“. E poi c’è l’intervento di Cateno De Luca (Sud chiama Nord) che, forte della sua esperienza processuale, ha offerto, manco a dirlo, solidarietà a Galvagno: “Più di me in questo parlamento nessuno le può dire cosa significa. La terrò presente nelle mie preghiere“. Anche l’ex Presidente dell’Ars, Gianfranco Miccichè, ha definito la seduta “surreale”, sostenendo che non si sarebbe dovuta fare.
Le conclusioni: Galvagno ringrazia e tiene il punto
Alla fine del lungo dibattito, Galvagno è tornato al banco della presidenza solo per ringraziare. Poche parole, cariche di emozione trattenuta. Un ringraziamento a tutti i deputati, ma soprattutto un passaggio politicamente pesante: “Ringrazio anche il presidente della Regione che ha voluto partecipare a questa seduta e per me la sua presenza è certamente significativa“. Un modo per dire che il governo regionale è con lui. Poi, il gesto di cedere la presidenza al vice per proseguire i lavori.
La giornata si chiude con Galvagno che incassa la fiducia, almeno formale, della sua maggioranza e resta al suo posto. Ma il dibattito ha aperto una faglia profonda, mettendo a nudo una “questione politica” che, come ha detto il capogruppo del Pd Michele Catanzaro, va oltre le singole responsabilità e affonda le radici in un sistema di gestione del potere e delle risorse su cui, ora, si sono accesi i riflettori della magistratura e della politica stessa. Quel che esce appesantito è il futuro politico di un Galvagno lanciatissimo verso una possibile presidenza della Regione alle prossime elezioni, che da oggi è costretto a rallentare significativamente, a rivedere profondamente, e con il concreto rischio di arrestarsi, definitivamente.
