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Alfredino Rampi, 44 anni fa nel pozzo di Vermicino: cronaca della tragedia che incollò un’Italia sospesa alla TV e diede alla luce la Protezione Civile

Era il 10 giugno 1981. Un bambino di 6 anni, tornando a casa, cadde in un buco nero e stretto. Per tre giorni, l’Italia intera visse, pregò e pianse con lui, protagonista involontario della prima, spietata diretta del dolore. Una storia di eroismo, fallimento e di come, da un’immensa tragedia, nacque una nuova coscienza civile.

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di Giuseppe Bevacqua

Ci sono date che non sono semplici numeri sul calendario, ma spartiacque dell’anima di un Paese. Il 10 giugno 1981 è una di queste. Quella sera, in una tranquilla frazione di campagna a Vermicino, vicino a Frascati, un bambino di nome Alfredo Rampi, per tutti Alfredino, di soli 6 anni, stava tornando a casa. Pochi passi lo separavano dal padre, ma non arrivò mai. La sua passeggiata si interruppe bruscamente, inghiottita dal buio di un pozzo artesiano: un buco nero, stretto e profondo, nascosto nell’erba alta.

Iniziava così una delle pagine più drammatiche e mediaticamente potenti della storia d’Italia. Un’odissea di 60 ore che trasformò un incidente privato in un dramma collettivo, vissuto in una simbiosi quasi morbosa grazie a una diretta televisiva della RAI che segnò un punto di non ritorno.

Cronaca di una Speranza Appesa a un Filo

La disperazione della mamma di Alfredino Rampi
La disperazione della mamma di Alfredino Rampi

Le prime ore furono di ricerche frenetiche. Fu un vicino a sentire un flebile lamento provenire dal pozzo. La realtà era agghiacciante: Alfredino era precipitato a 36 metri di profondità, incastrato in un cunicolo di appena 30 centimetri di diametro. I primi soccorsi furono caotici, generosi ma disorganizzati. Il tentativo di calare una tavoletta di legno per permettergli di aggrapparsi fallì miseramente: la tavoletta si staccò, cadde e ostruì ulteriormente il passaggio.

Mentre le trivelle iniziavano a scavare un pozzo parallelo, un microfono fu calato per mantenere il contatto. La voce di Alfredino, i suoi pianti, i suoi lamenti (“Mamma… papà… voglio la caramella”), diventarono la colonna sonora di un’intera nazione. La RAI, che inizialmente seguiva la vicenda con i normali servizi del telegiornale, prese una decisione senza precedenti: trasformare la cronaca in una diretta fiume. Per 18 ore consecutive, le telecamere rimasero fisse su quel pezzo di terra fangosa, portando l’angoscia di Vermicino nelle case di 28 milioni di italiani. Il Paese si fermò.

Gli Eroi del Fango e le Lacrime di un Presidente

Licheri, Alfredino Rampi
Licheri, Alfredino Rampi

Vermicino divenne un pellegrinaggio di speranza e disperazione. Arrivò anche il Presidente della Repubblica, Sandro Pertini. Non fu una visita di Stato, ma quella di un nonno addolorato. Si inginocchiò sul bordo del pozzo, parlò ad Alfredino, cercò di consolare la madre, Franca Rampi, diventando il simbolo di un’Italia unita nel dolore.

E poi ci furono gli eroi, i volontari che tentarono l’impossibile. Angelo Licheri, un piccolo e magro tipografo sardo, si fece calare a testa in giù per 45 minuti. Raggiunse Alfredino, gli parlò, ma non riuscì a imbragarlo. Le sue urla disperate, “Non ce l’ho fatta!“, furono una pugnalata al cuore per l’Italia intera. L’ultimo a tentare fu Donato Caruso, che riuscì solo a constatare la tragica verità.

Alle prime luci di sabato 13 giugno, dal pozzo non proveniva più alcun segno di vita. Il silenzio calò su Vermicino e su tutta l’Italia.

Il Recupero e il Lascito: la Nascita della Protezione Civile

La mamma di Alfredino Rampi ed il Presidente Pertini
La mamma di Alfredino Rampi ed il Presidente Pertini

La diretta si spense, ma il dramma non era ancora finito. Per restituire il corpo di Alfredino alla sua famiglia, servì un altro mese di lavoro silenzioso e un altro tipo di eroismo. Fu qui che entrò in scena la sapienza antica di chi la terra la conosce dal di dentro: i minatori. Poiché all’epoca non esisteva un organo statale come la Protezione Civile con competenze così specifiche, furono chiamate tre squadre di minatori dalle miniere di pirite di Gavorrano, in provincia di Grosseto. Non erano soccorritori di professione, ma la loro conoscenza delle insidie del sottosuolo era impareggiabile. Con perizia, scavarono un pozzo “di servizio” di 80 cm di diametro a una quindicina di metri da quello dell’incidente, per non destabilizzare il terreno.

L’11 luglio, quasi un mese esatto dopo la caduta, fu uno di loro, il minatore Spartaco Stacchini, a compiere l’ultimo, pietoso gesto: raggiungere il corpicino di Alfredino e riportarlo finalmente in superficie.

L’intervento di questi operai specializzati, chiamati a sopperire a un vuoto organizzativo, fu la prova definitiva dell’impreparazione dello Stato. La tragedia di Vermicino divenne il punto di non ritorno: il presidente Pertini in persona diede l’impulso decisivo per la creazione di una struttura che potesse gestire le calamità in modo organizzato. L’allora ministro Giuseppe Zamberletti fu incaricato di creare quello che sarebbe diventato il nucleo della moderna Protezione Civile. La morte di Alfredino, in questo senso, fu il seme che generò un sistema che negli anni a venire avrebbe salvato migliaia di vite.

Ma il lascito più toccante è quello voluto dalla sua famiglia. La madre, Franca Rampi, con una forza d’animo inimmaginabile, trasformò il dolore più disumano in un progetto di vita. Insieme al marito Ferdinando fondò il “Centro Alfredino Rampi”, un’organizzazione che da oltre quarant’anni si occupa di prevenzione dei rischi e di promuovere la cultura della sicurezza, soprattutto tra i più giovani.

Oggi, a 44 anni di distanza, il ricordo di Alfredino non è solo quello di un bambino intrappolato. È il ricordo di una nazione che per la prima volta si specchiò in diretta nella propria fragilità, scoprendosi unita. È la memoria di eroi sfortunati, di minatori silenziosi e di un Presidente che pianse con il suo popolo. Ed è il simbolo di come, anche dal buio più profondo di un pozzo, possa nascere una luce di speranza e di cambiamento. Alfredino, inghiottito dalla terra, ha piantato un seme nella coscienza del Paese. Un seme che, innaffiato dal dolore di tutti, è diventato protezione per gli altri. E in questo, forse, si nasconde il senso più profondo del suo ingiusto sacrificio.

alfredino rampi