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Agosto

Stupro di gruppo, “Qualcosa è andato storto nel nostro progetto genitoriale”,lo sfogo di una docente, l’epoca dell’insensibilità e la caccia al video: “Scambio foto di mia sorella 0–8 fatte ora, mentre è in mutande”

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Non si riesce a stare in silenzio. Non si rispetta la privacy della vittima. La morbosità che ormai dilaga e conduce ogni direzione di interesse di quel pubblico, di quella “folla mostro senza testa” come la definì Charlie Chaplin in “Luci della ribalta” che ipotizzava “non si sa mai da che lato si volti”, ha preso il sopravvento sulla giusta e composta indignazione nel rispetto della giustizia che oggi si chiede sia impalacabile, anzi esemplare. L’onda d’urto che sta colpendo i sette giovani evidentemente completamente ancora scollegati dalla realtà di ciò che hanno fatto, sta travolgendo anche le coscienze addormentate di tutte le famiglie. Sta quanto meno suggerendo salutari dubbi, su tutti uno: conosciamo davvero i nostri figli? Ciò che vediamo in casa corrisponde davvero a quel che diventano quando sono fuori? Siamo riusciti veramente a inculcargli il concetto di ciò che è bene e di ciò che è male?

SOCIAL E LA CACCIA AL VIDEO DELLO STUPRO

Siamo distratti e spesso li affidiamo a surrogati di padre e madre. Computer, smartphone, chat, soprattutto social. Gli stessi che in queste ore sono invasi dalla morbosa ricerca del video dello stupro. Nonostante gli avvertimenti del Garante della Privacy che mette in guardia sulle conseguenze, anche di natura penale, della diffusione e condivisione dei dati personali della vittima dello stupro di Palermo e dell’eventuale video realizzato. Ciò nonostante è scattata la “caccia alle immagini” scatenatasi nelle chat. Tanto che l’Autorità – con due provvedimenti d’urgenza – ha rivolto un avvertimento a Telegram e alla generalità degli utenti della piattaforma, affinché venga garantita la necessaria riservatezza della vittima, evitando alla stessa un ulteriore pregiudizio connesso alla possibile diffusione di dati idonei a identificarla.

A denunciare il fatto anche Davide Faraone: “Se la vergogna avesse un colore sarebbe quello delle 14mila persone che si sono iscritte ad un canale telegram, creato con l’obiettivo di far circolare il video dello stupro avvenuto a Palermo”, scrive su X il senatore di Italia Viva che poi spiega: “Sono due chat, una pubblica e una privata, in una di queste circola la foto della vittima con scritto: “È la troia di Palermo?” chiede un utente. “Sì”, rispondono altri tre””.

Il post continua: “Al peggio non c’è mai fine, in questo gruppo tante persone si definiscono ‘Dipreisti’, un chiaro riferimento all’attore porno. Si gioca a scambiare le figurine, solo che in questo caso il video riprende sette ragazzi che violentano una giovane donna.

“Scambio foto di mia sorella 0–8 fatte ora, mentre è in mutande”

Le frasi sono indecenti e senza alcun tipo di etica e di moralità: “Scambio foto di mia sorella 0–8 fatte ora, mentre è in mutande”, “scambio video bambini”. Si va ben oltre: ci sono promesse di video di parenti minorenni riprese dal buco della serratura mentre hanno rapporti con i partner o mentre si spogliano e ci sono richieste di foto di “schiavi 1–3, max 17, no perditempo”.

“Tutta questa storia mi indigna, sono in troppi ad avere smarrito la bussola. Troppi a pensare che uno stupro sia “solo una bravata”, una società malata su cui intervenire urgentemente, conclude Faraone.

Il Garante privacy spiega che, la possibile diffusione di dati idonei a identificarla, anche indirettamente, è in contrasto, peraltro, con le esigenze di tutela della dignità della ragazza. L’autorità ricorda che la diffusione e la condivisione del video costituiscono una violazione della normativa privacy, con conseguenze anche di carattere sanzionatorio, ed evidenzia i risvolti penali della diffusione dei dati personali delle persone vittime di reati sessuali (art. 734 bis del codice penale). Ma la caccia morbosa continua.

UNA DOPPIA VIOLENZA

“Ancora una volta sulla vittima di uno stupro (di gruppo peraltro) viene esercitata una doppia violenza: fisica e psicologica. La notizia delle chat con frasi disgustose e che non attengono ad una società civile, completano un quadro di orrori”. In vacanza nella sua città d’origine Licata, Francesco Pira, professore associato di sociologia dell’Università di Messina e coautore del libro “La violenza in un click” (edito dalla FrancoAngeli scritto con la professoressa Carmela Mento, associato di psicologia clinica UniMe), commenta quanto è accaduto a Palermo e la narrazione giornalistica e sui social che ne è seguita.

“I video sui social dello stupro, i commenti senza confini al rispetto di un altro essere umano, sono i nuovi trofei prosegue il prof. Pira Diretttore del Master in Esperto della Comunicazione Digitale UniMe – da esibire con il proprio network. Nella narrazione sui media e sui social, ancora una volta la vittima non esiste, ma vengono raccontate, con dovizia di particolari, le gesta violente di chi ritiene senza valore il corpo di una donna, e soprattutto non comprende quanto quello che è accaduto la segnerà per sempre”.

I messaggi nell’ordinanza di custodia cautelare e pubblicati dai media riaprono il dibattito sul confine tra diritto di cronaca e diritto di privacy. “Era giusto pubblicare i video dell’Isis che tagliava le teste dei giornalisti? – si domanda il sociologo Pira – per alcuni sì perché facevano vedere l’efferatezza del gesto e per altri no perché c’era rischio emulazione. Facendo un parallelo con quanto accaduto a Palermo si è aperto lo stesso dibattito. Ma serve? E’ utile. Tutti conosciamo cosa è possibile pubblicare e poi sappiamo anche deontologicamente cosa è opportuno. Rimane aperto un grosso problema – conclude il prof. Francesco Pira – come arginare un’emergenza fatta di violenza e soprusi poi diffusi sul web. Occorre un piano d’emergenza con esperti al lavoro e formazione nelle scuole di ogni ordine e grado. Tanta prevenzione per educare al rispetto e alla responsabilità”.

SIAMO DEI FALLITI

“Cosa sta accadendo? Lo spiega chiaramente e, sotto certi aspetti, violentemente, ma doverosamente, una docente di Palermo. “Siamo dei falliti. Tutti noi genitori” dice in un video la docente Giovanna Corrao in un video sulla sua pagina Facebook divenuto virale. E dovrebbe essere una “sveglia” per tutti. Ma, come ogni notizia di cronaca, per quanto sia grave, ha un solo destino: quello del raffreddamento e del conseguente disinteresse. E’ così che poi si dimentica e si perde un’occasione irrinunciabile per poter cambiare le cose. Perché la vittima, le vittime, possono e debbono essere tutelate non solo con le condanne esemplari come una petizione di 45 mila firme a Palermo chiede in queste ore. Il modo migliore per tutelare le vittime è far si che non se ne contino altre, scrollandoci di dosso quella scorza di insensibilità che l’inquinamento di informazioni ha stratificato sulla nostra fragile pelle di navigatori del web e dei social. La tutela delle vittime passa, ancora una volta, dai meccanismi oggi più che mai doverosi, di cambiamento culturale che inizia nella scuola e nelle famiglie, e che, pertanto, ha una strada lunga da compiere. Ma se non la si intraprende e se tutto si scioglie e sfuma alla stessa velocità con cui “invecchia” un post sui social, nulla camnbierà mai se non in peggio.