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I diritti del “signor” BINNU PROVENZANO e la distanza di Strasburgo dall’Italia

- 26/10/2018

26 ottobre 2018

Certe “cose” vanno conosciute e vissute per capirle. Altrimenti, se vivi lontano oltre 3000 chilometri dalla Sicilia, il “signor” Bernardo Provenzano, non è “Binnu u tratturi” ma un detenuto a cui è stata applicata la misura del carcere duro in condizioni di salute estreme.

Insomma la Corte di Strasburgo ha deciso che l’Italia va condannata per la continuazione dell’applicazione del carcere duro dal 23 marzo al 13 luglio del 2016, data della morte del “signor” Provenzano.

Ma Binnu era un boss mafioso, anzi uno dei capi di cosa nostra, il “signor” Provenzano era stato processato per l’omicidio del tenente colonnello Giuseppe Russo,  per gli omicidi dei commissari Beppe Montana e Ninni Cassarà, per gli omicidi di Piersanti Mattarella, Pio La Torre Michele Reina, per l’omicidio del generale Carlo Alberto dalla Chiesa, del capo della mobile Boris Giuliano, e del professor Paolo Giaccone, per la strage di Capaci in cui persero la vita il giudice Giovanni Falcone, la moglie e la scorta, per l’omicidio del giudice Cesare Terranova, condannato all’ergastolo in contumacia nel processo contro i responsabili della strage di via D’Amelio, in cui persero la vita il giudice Paolo Borsellino e cinque dei suoi uomini di scorta, così come anche per gli attentati di via dei Georgofili, ma anche per l’omicidio del giudice Rocco Chinnici e per la strage di viale Lazio.

Insomma “Binnu u tratturi“, così chiamato per la sua proverbiale violenza, non era un “signore” comune. Era un “signor” boss e lo rimase fino all’ultimo. Dopo almeno 10 ergastoli Provenzano non si pentì mai né spese una parola per le proprie vittime. Il “signor” Provenzano portò nella tomba i segreti di “cosa nostra” con sé, così come il suo pentimento, qualora ci sia mai stato. Storie terribili troppo lontane da Strasburgo. Una lontananza che non conosce il dolore delle vittime e dei loro familiari.