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Sbaraccare la povertà

- 19/09/2018

A forza di rimandare l’essenziale in nome dell’urgenza, si finisce per dimenticare l’urgenza dell’essenziale. (Hadj Garm Orin)

Messina, 19 settembre – di Antonio Currò (Segr circolo P. Impastato Rifondazione Comunista Messina)

Un intero consiglio comunale, nei giorni scorsi ha avuto per le mani – durante il dibattito sul risanamento – un documento del parlamentare Pancrazio De Pasquale (comunista messinese e parlamentare di Rifondazione Comunista negli ultimi anni della sua vita) in cui si denunciava la funzione di controllo politico e sociale esercitata dalla costrizione per decenni di migliaia di messinesi in baracche e tuguri.
A fronte delle poche le baracche realmente “post terremoto”, tanti e profondi sono i legami della citta del 2018 con quella prodotta da una violentissima – quasi quanto il sisma che gli ha aperto la strada, – espropriazione sociale ai danni, innanzitutto, dei lavoratori messinesi.

Dal 1908 un regime autoritario – sfruttando la violenza della natura – ha costretto migliaia di cittadini ad abitare nella terribile città della rendita.

La “seconda grande trasformazione” dell’assetto economico di questo territorio, dagli anni 60, ha prodotto una informe colata di cemento che ha sfregiato irrimediabilmente il volto della città, costruito quartieri dormitorio per nuovi individui schiavizzabili senza rispondere realmente ai bisogni abitativi della città.

Nel 2018 è ancora quella città terribile con cui dobbiamo fare i conti: quella in cui si moltiplicano gli intrecci incontrollati tra lecito e illecito, la speculazione edilizia, la corruzione, l’evasione fiscale, una città capace solo di produrre periferie con all’interno “eccedente umano”.

Ad oggi, il dato di 30.000 alloggi vuoti e 3000 baraccati è forse l’emblema più triste e doloroso della portata sociale di quella espropriazione di ricchezza iniziata oltre 100 anni fa. E che ci lascia una città sempre più povera, sempre più vuota e sempre più anziana, alla faccia di chi solo qualche anno fa blaterava – per giustificare una tragica speculazione edilizia – di espansioni demografiche, teorizzando punte di 500 mila abitanti.

Adesso è il momento di restituire alla collettività quella ricchezza sociale espropriata con la violenza: a chi ha vissuto di rendita, a quelle poche famiglie che detengono quasi il 40% del patrimonio immobiliare vanno requisite temporaneamente le case e consegnate a chi ne ha davvero bisogno.

Del resto lo stesso Sindaco in una recente trasmissione della RAI ha dichiarato di essere pronto – in caso di necessità – a requisire una parte dell’immenso ed inutilizzato patrimonio immobiliare presente in città (per finalità sociali la nostra Costituzione lo consente). Si potrebbe, pertanto, prevedere per la tutela della salute dei cittadini, in particolare in presenza di anziani, minori, portatori di handicap e malati gravi, con redditi medio bassi, la requisizione di alloggi sfitti da parte del sindaco come massima autorità sanitaria della città.

Questo è il contesto: pretendiamo chiarezza sui modi e sui tempi con cui si dovranno accompagnare 3000 famiglie dalle baracche ai nuovi alloggi. Non accettiamo né lo sradicamento dal proprio quartiere né la lacerazione di tessuti e legami sociali particolarmente preziosi in un momento come questo.

Vogliamo inoltre che vi sia la massima trasparenza sulla composizione sociale (accertamento dei patrimoni e dei redditi) su chi dovrà avere accesso alla casa: anche il “CONTROLLO POPOLARE” può stroncare sul nascere le immancabili pratiche corruttive e clientelari. Va socializzata ed organizzata l’esigenza di aprire un confronto pubblico e di merito con i diretti interessati in opportuni momenti assembleari.

Discutere, ad esempio, dell’Art. 62 dell’ultima legge finanziaria regionale 8/2018 che prevede, attraverso l’Agenzia di Risanamento, che gli alloggi possano essere acquistati o “temporaneamente” affittati: ebbene, quel “temporaneamente” può aprire la via allo sperpero di risorse pubbliche e a tempi biblici per l’accesso alla casa.

Inoltre, la presenza costante delle Agenzie Immobiliari in questa delicatissima operazione, che investe in pieno la vita materiale di migliaia di persone, non ci rassicura per niente e rischia di trasferire quelle risorse pubbliche nelle mani dei palazzinari senza scrupoli e della rendita.

Così come crediamo che ogni organismo istituzionale di controllo sul potere esecutivo (anche il più distante dalla nostra cultura politica) debba svolgere la propria funzione scongiurando tentazioni autoritarie e intolleranza al confronto.

Infine, le risorse. Assicurare una casa a 3000 famiglie e contestualmente abbattere 3000 baracche significa impegnare centinaia di milioni di euro.
Sorvolando su una tempistica quanto meno improbabile (eliminare 3000 manufatti in due mesi significa, se non si intende utilizzare il tritolo, demolire 50 baracche al giorno, una ogni mezzora e senza considerare lo smaltimento dell’amianto). Pertanto occorre avere la certezza e la ciclicità delle risorse necessarie e pianificare rigorosamente gli interventi in maniera settorializzata.

In concreto: ad oggi solo i 500 mila euro per costituzione dell’Agenzia Risanamento sono risorse certe. Il costante richiamo ai Fondi “PonMetro”, ci risulta discutibile, data la bocciatura evidenziata dal Comitato di Sorveglianza per i fondi strutturali, di gran parte dei progetti per le infrastrutture e per l’inclusione sociale che hanno messo fuori gioco decine di milioni di euro.

Sulle risorse messe a disposizione dalla legge regionale 10/1990 (quella per il risanamento di Messina) ad oggi non c’è alcuna certezza data l’assenza dei decreti di finanziamento e quindi del trasferimento delle risorse nella disponibilità del Comune di Messina. Possibile che i Parlamentari Regionali non siano in possesso di dati un po’ più precisi? E se non ne hanno, perché non avviare una commissione parlamentare regionale di indagine che faccia chiarezza su quanto è realmente disponibile?

E poi: i fondi Gescal, i fondi per la Sicilia finanziati dalle trattenute nelle buste paga di milioni di lavoratori. Che fine hanno fatto? Quanto è rimasto di quelle risorse nel conto corrente 28128 della Cassa Depositi e Prestiti usate maldestramente nel tempo per altre esigenze?
È solo il caso di ricordare che l’ultimo bando per l’accesso alle case popolari conta circa 1.000 persone che hanno fatto richiesta di un alloggio.
Oltre alle famiglie nelle baracche ci sono migliaia di persone che chiedono una casa popolare.

Tutta questa incertezza sulla reale consistenza e disponibilità delle risorse non può essere offuscata da quella cortina fumogena che è lo stato di emergenza che il Paese ha già avuto modo di conoscere con la gestione Bertolaso della Protezione civile e la sua pratica – tanto bulimica quanto opaca – delle ordinanze a raffica, in grado di trasformare in emergenza anche una sagra paesana. La mutazione genetica della Protezione Civile ha agevolato l’abuso degli istituti emergenziali configuratesi storicamente come scorciatoie, come modalità operativa per aggirare controlli e vincoli e derogare alle normative vigenti.
Riteniamo la dichiarazione dello Stato di emergenza un atto sbagliato.
Dopo 110 anni è un insulto per l’intelligenza e la pazienza dei cittadini chiamarla emergenza. Un’emergenza è un fatto immediato, accidentale, non previsto. Qui se c’è un’emergenza è politica! C’è stata nei decenni una perpetuazione sine die del bisogno casa come scambio. Diciamoci la verità: ma quale emergenza?! Siamo convinti che questo tentativo mal cela la necessità impellente di attingere ad ulteriori fondi per mantenere le promesse date: i fondi nazionali e regionali della protezione civile per le emergenze. Ma se tutto ciò dovesse accadere e si ottenesse, su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri o di un Ministro con portafoglio o dal Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri, la deliberazione di emergenza speriamo che il sindaco, nominato quasi sicuramente commissario delegato, faccia buon uso dei poteri di ordinanza. L’abuso dei poteri emergenziali ha sfociato storicamente in derive autoritarie, sgusciando e sottraendosi al sistema del controllo democratico.

Noi ereditiamo comunque il patrimonio politico e sociale di altre stagioni, fatte di ansie di riscatto e di liberazione.

Perché la discussione sul diritto alla casa non sia relegata ad argomento di cronaca o di finanza e diventi invece un dibattito pubblico, ha bisogno di uscire dall’individualismo, di essere portata fuori dagli uffici delle amministrazioni, di nutrirsi di momenti di condivisione con chi questa condizione indegna l’ha subita per decenni. Facciamo assemblee in ogni quartiere.

La rendita è diventata la forza indisturbata dello sviluppo territoriale e, a dispetto della stessa parola, non è una forza passiva, è il cuore del processo capitalistico globalizzato: combatterla significa contemporaneamente trasformare la crisi e la questione urbana in una grande opportunità per costruire un rapporto diverso tra lavoro, società e tempi di vita dei nostri concittadini.

 

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