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Risanamento, la frenata di Roma: proroga sì, ma solo fino al 2026. Poi si vedrà

- 12/12/2025
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Il decreto fissa la scadenza al 2026: sfuma il lasciapassare automatico fino al 2028. La premier Meloni garantisce i fondi per il triennio, ma Schifani e il sub-commissario Trovato incassano il rinnovo “breve”. L’ingegnere si consola: «Fatto importante, ci consente di operare»

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MESSINA – Riponete lo spumante in frigo, o almeno versatene solo un dito. L’euforia che aveva contagiato la politica messinese nelle ultime ore, convinta di aver incassato un “assegno in bianco” temporale fino al 2028, si è scontrata con il muro di gomma della ragioneria di Stato. Da Roma arriva il via libera, certo, ma è una vittoria mutilata, o per dirla con un eufemismo, una “rimodulazione delle aspettative”.

Il decreto Milleproroghe non mente: i super-poteri per l’Ufficio commissariale guidato dal governatore Renato Schifani sono confermati, ma la data di scadenza è stampata a fuoco: 31 dicembre 2026. Un anno solo. La strategia di Palazzo Chigi assomiglia a quella di certi rinnovi contrattuali a tempo determinato: vi diamo fiducia, ma vi teniamo d’occhio. La premier Giorgia Meloni ha dovuto fare da pompiere, assicurando che l’obiettivo resta il 2028 e che i soldi per «cancellare la vergogna» ci saranno tutti. Ma la forma, in politica, è sostanza: il Risanamento, d’ora in poi, si paga a rate annuali.

L’arte di accontentarsi

E così, a Messina tocca fare buon viso a cattivo gioco. Il “ridimensionamento” è palpabile, ma l’ordine di scuderia è ostentare ottimismo. Il presidente della Regione guarda al bicchiere mezzo pieno (anche se l’altra metà è evaporata nel decreto), e con lui il sub-commissario Santi Trovato. L’ingegnere capo del Genio Civile, con il pragmatismo tecnico che lo contraddistingue, benedice comunque il risultato: «Avere la certezza che la legge speciale resta in vigore è un fatto importante». Tradotto: meglio un anno sicuro che il nulla.

La corsa contro il tempo

Resta il paradosso di un’opera definita “imponente” che dovrà viaggiare con il fiato corto della scadenza ravvicinata. La narrazione trionfale della vigilia lascia spazio a una realtà più prosaica: i poteri ci sono, le ruspe pure, ma il calendario di Roma corre più veloce dei desideri dello Stretto. Si arriverà “egualmente” al 2028, dicono. Ma bisognerà arrivarci un anno alla volta, sperando che nel prossimo Milleproroghe non ci siano altre sorprese.

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