
Messina ha perso quasi 18.000 abitanti in dieci anni, un esodo che svuota le strade e invecchia inesorabilmente la popolazione. I giovani, quelli a cui il Summit da tre anni dice di voler offrire “strumenti” e “opportunità”, continuano a fare le valigie.

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Messina si prepara a indossare, per la terza volta, l’abito scintillante della “capitale dell’innovazione”. Il 16 e 17 ottobre torna il Sud Innovation Summit, l’evento che promette di trasformare la città dello Stretto in un “villaggio” tecnologico con ospiti del calibro di Microsoft, IBM e Google. L’amministrazione comunale, con in testa il sindaco Basile, esulta per un evento “non fine a se stesso”, che mira a rendere Messina “centro propulsivo”. L’Università si accoda, sospende le lezioni e offre crediti formativi. Una grande festa dell’innovazione, insomma. Peccato che, dietro i sorrisi di circostanza e i comunicati stampa trionfali, si celi una domanda tanto semplice quanto brutale, alla quale nessuno, in tre edizioni, ha mai fornito una risposta basata sui fatti: cosa ci guadagna Messina? Quante aziende ha portato a Messina, quanti investimenti? Quanti giovani messinesi sono stati assunti da queste grandi aziende testimonial per due giorni? Quante partnership sono state instaurate? Insomma a che sono servite tre edizioni di questa cosa?
Mentre si discute di Intelligenza Artificiale e Creator Economy nei salotti buoni del Campus Papardo, la città vive un dramma silenzioso e inarrestabile. I dati sullo spopolamento sono un bollettino di guerra: Messina ha perso quasi 18.000 abitanti in dieci anni, un esodo che svuota le strade e invecchia inesorabilmente la popolazione. I giovani, quelli a cui il Summit dice da ben tre edizioni di voler offrire “strumenti” e “opportunità”, continuano a fare le valigie. Secondo le stime, il 19% dei messinesi sotto i 34 anni sceglie di emigrare. Di fronte a questa emorragia, sorge spontaneo chiedersi: un evento di due giorni, per quanto prestigioso, può davvero invertire una rotta così drammatica? O si tratta piuttosto di una costosa vetrina, una sorta di fiera delle vanità tecnologiche utile più all’immagine di chi la promuove che al futuro di chi in questa città dovrebbe costruirselo?
Il Direttore Generale Puccio assicura che dal Summit nascono “risultati tangibili”, già “realtà operative nel Comune”. Eppure, a voler essere pignoli, dopo tre anni di nessuna ricaduta, il più grande “risultato tangibile” che doveva scaturire da questa narrazione innovativa, il famoso progetto I-Hub, sembra essersi perso nei meandri della burocrazia e dei cambi di strategia, con ipotesi di spostamento e un futuro ancora tutto da scrivere. Un progetto da decine di milioni di euro, presentato come il faro dello sviluppo tecnologico, oggi è un cantiere di demolizioni in cerca d’autore. Se questa è la concretezza, quali garanzie ci sono che il “Rapporto Sud Innovation 2025” o il nuovo “Sud Innovation Competitiveness Index” non finiscano a prendere polvere su qualche scaffale di Palazzo Zanca? E ad oggi Ruggeri cosa ha portato a Messina? Di certo ha preso.

Arriviamo infatti al nervo scoperto, quello che trasforma una legittima domanda in un sospetto: il costo dell’operazione. Per questa terza edizione, il Comune di Messina ha messo sul piatto un contributo di quasi 200.000 euro. Denaro pubblico, dei cittadini, versato nelle casse dell’organizzazione e dei service. Una cifra considerevole, che impone una riflessione seria sul ritorno dell’investimento.
Mentre gli studenti riceveranno crediti formativi e gli amministratori una foto con i manager delle multinazionali, l’unica “ricaduta” economica certa e documentabile sembra essere quella per chi l’evento lo organizza. Roberto Ruggeri, fondatore del Summit, ringrazia sentitamente. E ci mancherebbe. Ma i giovani messinesi, quelli che non cercano una pacca sulla spalla ma un contratto di lavoro, quando potranno ringraziare? O per loro l’unica “innovazione” possibile resta quella di acquistare un biglietto di sola andata per il Nord?

