

CLICCA E SOSTIENI VOCE DI SICILIA
CON UNA DONAZIONE
Chiediamo il sostegno dei lettori – Voce di Sicilia, da tempo rifiuta la pubblicità istituzionale con l’obiettivo di mantenere una Voce libera e indipendente.
Quel che deciderete di donare verrà utilizzato per la nostra sopravvivenza. Grazie.

Editoriale di GIUSEPPE BEVACQUA
Vi confesso che leggere certi dati lascia l’amaro in bocca, non tanto per i numeri in sé, che pure sono agghiaccianti, quanto per il mestiere che facciamo. Ci troviamo di fronte a una cifra – oltre 62 mila morti per il caldo, nella sola estate europea – e la tentazione, quella che oggi sembra l’unica strada, è di sbatterla in prima pagina. Un titolo a nove colonne, un allarme che dura ventiquattr’ore, il tempo di essere rimpiazzato dalla prossima iattura. È la scorciatoia dei somari, quella che consente di arrivare prima, ma male, e di tradire la fiducia di chi ci legge.
Perché il nostro padrone, il lettore, non ha bisogno di un altro megafono che amplifichi i bollettini degli scienziati. Ha bisogno che qualcuno lo aiuti a capire, a leggere oltre la freddezza di una statistica. E questa statistica, pubblicata da una rivista seria come Nature Medicine, ci dice qualcosa di terribile. Ci dice che mentre noi continuiamo a mescolare il serio con il futile, prendendo il futile come l’unica cosa seria, il nostro mondo sta cambiando in un modo che uccide, silenziosamente, soprattutto i più deboli. E cosa si sta facendo per ridurre questa tendenza drammatica?
Lo studio, condotto da quell’Istituto di Salute Globale di Barcellona, parla chiaro. L’estate del 2024 ci ha lasciato in dote 62.775 vite spezzate. Un numero superiore a quello dell’anno prima, anche se, ci spiegano, le temperature medie in certe regioni erano persino più alte nelle estati passate. Vedete? Nemmeno i numeri sono una cosa semplice. Non si può ridurre tutto a “l’anno più caldo di sempre”. C’è una complessità che noi giornalisti avremmo il dovere di sbrogliare, invece di rincorrere l’ultima, volgarissima, audience.
E in questa triste contabilità, il mio Paese, l’Italia, si prende il primo posto. Oltre 19 mila morti (oltre 5000 ad oggi nell’anno in corso). Un primato che ci portiamo addosso da tre anni. Ma questa notizia dove la troviamo? Soffocata, probabilmente, da qualche polemica politica o dalle prodezze di un personaggio televisivo. Ci siamo messi al servizio di un nemico mortale, la distrazione, e ne abbiamo copiato i costumi, riconoscendone la supremazia.
Certo, la scienza non si arrende. I ricercatori propongono soluzioni, come questo strumento dal nome inglese, Forecaster.health, che promette di trasformare le previsioni del tempo in allerte sanitarie. Un tentativo lodevole, intendiamoci. Ma uno strumento, per quanto efficace, non basta se dall’altra parte non c’è più nessuno disposto ad ascoltare. Se chi deve informare ha scelto di inseguire i peggiori gusti del pubblico, invece di correggerli. Senza atteggiamenti da mentori, per carità, ma con l’umiltà di chi sa di avere una missione: quella di portare la cultura – e la scienza è cultura – in mezzo alla gente, con un linguaggio che sia di tutti.
Non so se il nostro mestiere sarà capace di compiere un’evoluzione. Non ne vedo molti segni. Ma chi di voi vorrà provarci, si ricordi questo: il giornalismo si fa per il giornalismo. E per nessun’altra cosa. Nemmeno di fronte alla più grande e drammatica notizia. Anzi, soprattutto di fronte ad essa.

