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L’Algoritmo in Toga: scorciatoia per la giustizia o pericolo per gli innocenti? Mentre balla 1 miliardo di euro, se ne è discusso all’AI Days di UNIME

- 20/09/2025
AI Days 3
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Mentre i faldoni si accumulano nei tribunali e le cause invecchiano peggio del vino, da Roma arriva la grande promessa, la panacea digitale per una giustizia in affanno: l’Intelligenza Artificiale. Il Senato ha dato il via libera, la legge c’è. E ora, tra i corridoi delle procure e gli studi legali, la domanda non è più “se”, ma “come”. E soprattutto, a quale prezzo.

Il libretto di istruzioni dello Stato

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E per mettere un po’ d’ordine in questo Far West digitale, ecco che il Senato ha partorito la Legge. La prima in Europa, ci tengono a sottolineare da Roma, un capolavoro di buone intenzioni nero su bianco, perfettamente allineato al più grande AI Act europeo.

Il Vangelo secondo il legislatore è semplice e rassicurante: l’uso dell’IA sarà “antropocentrico”, ovvero con l’uomo al centro, trasparente e sicuro. Una clausola di garanzia che suona un po’ come scrivere “Maneggiare con cura” su una cassa di dinamite, e che insiste sulla centralità della decisione finale di una persona fisica. A vigilare su questo nuovo mondo sono stati nominati due sceriffi: l’Agenzia per la Cybersicurezza Nazionale (ACN), con il compito di ispezionare e controllare che i sistemi non facciano danni, e l’Agenzia per l’Italia Digitale (AgID), una specie di ufficio di collocamento per progetti di IA sicuri. Il tutto coordinato da Palazzo Chigi, con tanto di Strategia Nazionale da aggiornare ogni due anni e un report annuale da portare in Parlamento, per mostrare la pagella.

E per far digerire la pillola delle regole, ecco la carota: un miliardo di euro sul piatto per startup e PMI che si tufferanno nell’IA. “Investite in Italia”, recita il mantra governativo, “troverete regole trasparenti”. Un invito allettante, su un terreno però ancora tutto da esplorare.

La tentazione dell’efficienza a tutti i costi

La musica, per le orecchie di un sistema al collasso, è celestiale. Immaginate un assistente instancabile che analizza migliaia di pagine in pochi minuti, scova precedenti giurisprudenziali e prepara bozze di atti. Il rischio, quello vero, non sta tanto nella macchina, quanto nell’uomo che la usa.

La domanda che agita i sonni di giuristi e avvocati è spaventosamente semplice: il magistrato, schiacciato da carichi di lavoro disumani, saprà resistere alla tentazione di fidarsi ciecamente del riassunto impeccabile offerto dall’algoritmo? Cosa succederà quando, di fronte a un bivio decisionale, la macchina suggerirà un percorso basato su migliaia di casi simili, magari ignorando quel singolo, anomalo dettaglio che solo l’intuito e la sensibilità umana potrebbero cogliere? Il pericolo non è che l’IA “dimentichi” qualcosa, ma che il giudice smetta di cercarlo, appagato da una soluzione rapida e statisticamente probabile.

Vigilanza umana e dibattiti sul campo

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Non a caso, dal Consiglio Superiore della Magistratura si affrettano a mettere i paletti: l’IA deve rimanere uno “strumento di supporto”, ribadendo che la centralità e l’insostituibilità del giudice in carne ed ossa non sono in discussione. Una difesa d’ufficio della coscienza umana, un monito a non cedere alla pigrizia intellettuale che una tecnologia così potente potrebbe indurre. Un timore su tutti: è quello che il Ddl AI non obbliga a mantenere i server in Italia. Un ripensamento del Governo dell’ultima ora. E la riservatezza? E la segretezza? Perché se in Italia sono valori ed obblighi a cui teniamo molto, non è sempre lo stesso anche per altri Paesi esteri. Quindi il rischio è concreto e tangibile.

trbunale

Il tema, d’altronde, è già sceso dalle cattedre universitarie alle aule di tribunale. Ne è prova l’“AI Days”, il workshop di alto livello che si è appena concluso alla facoltà di Giurisprudenza di Messina. L’evento, promosso dall’avvocato Antonio Gazzara, ha visto un fitto dialogo tra accademici, magistrati e professionisti forensi, tutti alle prese con lo stesso dilemma: come imbrigliare la potenza dell’IA, ora normata per legge, senza esserne travolti?

La sfida, dunque, non è tecnologica, ma etica e culturale. Si tratta di forgiare un magistrato 2.0 capace di usare il più potente degli strumenti senza mai diventarne il servitore. Perché il giorno in cui la toga si fiderà più del silicio che della propria coscienza, la giustizia avrà forse accelerato la sua corsa, sì, ma dritta verso il baratro.

Giurisprudenza
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