
Dalla «trappola» delle risorse Pnrr al paradosso dei cordoli deserti: la scelta di incassare i finanziamenti europei ha generato un labirinto urbano che ignora la realtà dei flussi e soffoca il commercio. Una strategia dettata dalla cassa che lascia in eredità al futuro sindaco il difficile compito di sbrogliare la matassa di una viabilità paralizzata.

C’è un vecchio adagio della burocrazia europea che recita: se ci sono i soldi, bisogna trovare il modo di spenderli, anche a costo di inventarsi un bisogno che non c’è. A Messina, questa massima sembra essere diventata la bussola urbanistica degli ultimi anni, trasformando il centro città in un intricato labirinto di strisce gialle, cordoli di cemento e corsie riservate a una categoria di cittadini che, dati alla mano, appare più mitologica che reale: i ciclisti urbani.
Chiunque percorra oggi il Viale San Martino, tenti l’impresa disperata di risalire via Tommaso Cannizzaro, o peggio, percorra la via Geraci, si trova di fronte a un fenomeno che ha del surreale. Chilometri di asfalto sono stati sottratti alla circolazione ordinaria e alla sosta — merce già rarissima in riva allo Stretto — per disegnare percorsi di “mobilità dolce” che restano, per la stragrande maggioranza della giornata, desolatamente vuoti. Non si tratta di avversione ideologica alla transizione ecologica, tema nobilissimo nei convegni di Bruxelles. Si tratta di pragmatismo. La geografia di Messina, stretta e lunga, con i suoi dislivelli e le sue abitudini consolidate, non diventa Amsterdam solo perché un assessore decide di tracciare una riga per terra.
MA… PERCHE’? ALTRIMENTI SI PERDONO I SOLDI
Ma cosa anima questa febbrile “bulimia” di piste ciclabili? Perché un’amministrazione dovrebbe inimicarsi il ceto medio produttivo, i commercianti e i residenti, rendendo la viabilità un percorso a ostacoli e la ricerca di un parcheggio una caccia al tesoro frustrante? La risposta, spogliata dalla retorica “green“, è spregiudicatamente economica e si chiama Pnrr, affiancata dai residui del Pon Metro. Siamo di fronte alla “trappola dei fondi vincolati”. L’Europa e il governo centrale hanno inondato i comuni di risorse etichettate sotto la voce “rivoluzione verde e transizione ecologica”. Soldi che arrivano con una clausola precisa: o li spendi per quello, o li perdi.
L’amministrazione Basile, in continuità con la visione “deluchiana” che l’ha preceduta, si è trovata davanti al classico bivio dell’amministratore locale nell’era dei bonus: rifiutare milioni di euro perché il progetto non è coerente con il tessuto urbano reale, o incassare l’assegno e cantierizzare la città, sperando che prima o poi i messinesi si convertano al pedale? La scelta è caduta sulla seconda opzione, confondendo Milano, Bologna e Torino per Messina, realtà diverse con esigenze diverse. Si è, così, deciso di attingere a piene mani ai capitoli di spesa destinati alla mobilità sostenibile (M2C2 del Pnrr), che finanziano non solo l’acquisto di bus elettrici ma, appunto, il rafforzamento della ciclabilità urbana. È il trionfo della contabilità sulla vivibilità: si fanno le opere non perché servono hic et nunc, ma perché “ci sono i finanziamenti”.
Città ingabbiata e.. con più emissioni!
Il risultato è sotto gli occhi di tutti: una città ingabbiata. Le carreggiate ristrette creano imbuti artificiali dove il traffico, lungi dal diminuire, si congestiona, aumentando paradossalmente le emissioni che si volevano abbattere. I parcheggi sacrificati sull’altare della striscia gialla non sono stati sostituiti da alternative strutturali sufficienti, come i parcheggi di interscambio (quelli VERI!) che faticano a decollare nelle abitudini collettive. E intanto, nella corsia preferenziale, il vuoto pneumatico regna sovrano, interrotto solo da qualche temerario rider del food delivery o da monopattini elettrici che sfrecciano incuranti delle regole.
Il successore di Federico
L’eredità di questa stagione sarà il vero nodo politico dei prossimi anni. Il successore di Federico Basile — chiunque esso sarà e qualunque sia il colore della sua casacca — si troverà a gestire una “patata bollente” urbanistica di proporzioni notevoli. Smantellare tutto? Sarebbe un danno erariale, oltre che uno spreco di risorse pubbliche già impiegate. Lasciare tutto com’è? Significherebbe condannare il centro a una paralisi perenne. Ripristinare una normale circolazione stradale richiederà un’operazione di “rammendo” molto più complessa della stesura di quattro righe di vernice. Servirà il coraggio di ammettere che l’urbanistica non si fa con l’ideologia, né con la sola caccia ai fondi europei, ma osservando come vive, si muove e respira la città reale. Quella che oggi, imbottigliata nel traffico accanto a una pista ciclabile deserta, guarda l’orologio e si chiede se il futuro debba per forza assomigliare a questo caos organizzato.











