
Il centrodestra punta sulla Rettrice mentre l’Ateneo è nella bufera, ma la tempistica desta perplessità. Esporre una figura istituzionale con due anni d’anticipo, in un contesto così delicato, rischia di logorare la candidatura ben prima che la sfida elettorale abbia inizio.

Il calendario della politica messinese sembra ormai essersi sganciato dalla realtà amministrativa. Mentre la città osserva le manovre attorno a una possibile interruzione anticipata del mandato del sindaco Federico Basile, condizionato dalle strategie ondivaghe di Cateno De Luca, il centrodestra compie una mossa che appare, a voler usare un eufemismo, prematura. Il nome portato alla ribalta è quello di Giovanna Spatari.
La scelta di puntare sull’attuale Rettrice dell’Ateneo peloritano non è un dettaglio da poco. Si tratta di una figura istituzionale il cui mandato, sulla carta, dovrebbe estendersi fino al 2029. Eppure, le indiscrezioni rilanciate da Messina Today descrivono uno scenario diverso: un addio anticipato all’ermellino per tentare la corsa a Palazzo Zanca già nel 2026.
Ciò che lascia perplessi, in questa operazione, è il metodo. Ufficializzare o anche solo lasciar filtrare una candidatura di tale peso quando il quadro politico è ancora così nebuloso risponde a una logica tattica di difficile comprensione. In politica, il tempo è sostanza. Esporre il nome della Spatari oggi, con due anni di anticipo sulle urne e senza nemmeno la certezza delle dimissioni dell’attuale primo cittadino, significa sottoporla a un rischio tangibile: quello di bruciare la candidata in pectore prima ancora che la campagna elettorale abbia inizio.
Il contesto, d’altronde, non aiuta. La professoressa Spatari, Ordinaria di Medicina del Lavoro e figura di spicco della sanità accademica nazionale, si trova a governare l’Università in una fase storica particolarmente complessa. Il suo rettorato è impegnato nella gestione dell’eredità amministrativa di Salvatore Cuzzocrea, segnata da note vicende giudiziarie, e deve ora fronteggiare il recente scossone al Policlinico, con l’arresto dell’ex primario Francesco Stagno d’Alcontres e le gravi ipotesi di reato che ne conseguono.
In uno scenario simile, dove l’Ateneo richiederebbe una guida concentrata esclusivamente sul risanamento e sulla stabilità, l’ipotesi di un disimpegno per fini elettorali appare stridente. La politica, nella sua ricerca di volti spendibili provenienti dalla società civile, sembra non calcolare l’effetto usura. Trasformare una risorsa tecnica e accademica in un bersaglio politico con così largo anticipo è una scommessa che potrebbe non pagare, indebolendo sia l’istituzione che la candidata stessa.










