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Novembre

118 a Messina: Quei venticinque minuti che valgono una vita. Dal 2022 ad oggi cosa è cambiato

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I dati inchiodano ai ritardi, ma dietro le statistiche c’è la trincea: un territorio ostile, pochi medici e la corsa disperata di chi non si arrende. Viaggio nella centrale del 118, dove la burocrazia pesa più dei chilometri e ogni istante può valere una vita.

Giuseppe Bevacqua

di GIUSEPPE BEVACQUA

Il tempo è relativo. Lo diceva Einstein, ma lo sa meglio chi aspetta un’ambulanza. In quei momenti, un minuto non è sessanta secondi: è un’eternità. Abbiamo letto le carte dell’ultimo rapporto Agenas, quei fascicoli pieni di cifre che dovrebbero spiegarci come sta la nostra salute. Dicono che nel 2024 la Calabria è la peggiore d’Italia: lì, per vedere arrivare un mezzo di soccorso, si aspettano anche 35 minuti. Una condanna.

Ma se guardiamo in casa nostra, qui a Messina, non c’è molto da rallegrarsi. Venticinque minuti. Questo è il tempo medio che passa dalla chiamata al 112 all’arrivo dei soccorsi. Venticinque minuti possono essere nulla se si aspetta un autobus, ma sono tutto se c’è di mezzo la vita.

Il fatto è questo: i dati sono freddi. E la realtà di Messina è una striscia di terra complicata, “lunghissima e impervia”, come ci raccontava Domenico Runci, il responsabile del 118, un uomo che dirige la sua centrale operativa all’ospedale Papardo come un capitano in tempesta. Runci non ci sta a passare per quello che non fa il suo dovere. I numeri vanno letti, dice. E ha ragione. Perché Messina non è una città normale: va da Tusa a Giardini Naxos, si arrampica sui Nebrodi, si infila in strade dove a malapena passa una Cinquecento, figuriamoci un mezzo di soccorso.

C’è un reportage che abbiamo realizzato nel 2022, che è una discesa agli inferi e insieme un omaggio a questi uomini e donne. Le immagini non mentono mai. Mostrano una centrale operativa che frigge di voci e codici, monitor che lampeggiano, e operatori che devono decidere in un istante. Mostrano anche la solitudine. Il problema vero, quello che non sta scritto nelle tabelle dell’Agenas ma che si tocca con mano, è che mancano i medici. “Eroismo”, lo chiamano. Forse è la parola giusta. Perché bisogna essere eroi per salire su un’ambulanza a 300 euro al mese in più, rischiando le aggressioni di chi, esasperato dall’attesa, se la prende con l’unica divisa che vede.

ambulanza pronto soccorso papardo

Le ambulanze ci sono, sulla carta sono 27. Ma quante hanno un medico a bordo? Poche, sempre meno. I giovani dottori scelgono strade più comode, e chi rimane invecchia. L’età media si alza, le schiene scricchiolano a furia di portare barelle su per le scale di palazzi senza ascensore. Nel video si vedeva chiaramente: mezzi a volte insufficienti, personale stanco ma che non molla di un centimetro. Si vedeva la frustrazione di chi vorrebbe fare di più e si scontra con la burocrazia romana, quella del “decreto Balduzzi”, che stabilisce quante ambulanze servono in base agli abitanti, come se un infarto in pianura Padana fosse uguale a uno in un paesino sperduto dei Peloritani.

Ecco perché quel dato sui 25 minuti di attesa va preso con rispetto, ma anche con rabbia. Non è indolenza. È la fotografia di un sistema che si regge sulla buona volontà dei singoli, mentre la macchina statale arranca. Quando sentite una sirena, non pensate solo al ritardo. Pensate che lì dentro c’è qualcuno che sta correndo contro il tempo, e spesso contro le assurdità di un sistema che ha dimenticato che la salute non ha orologio.

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