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Sotto scacco, ma non finita: la città da costruire oltre De Luca. La frase “profetica” e la costruzione dell’alternativa

- 07/10/2025
de luca patate

La frase di De Luca che, al di là del gergo e della consueta teatralità, fotografa una verità desolante, quasi una condanna. “Il rischio è che vi sucate Basile per i prossimi cinque anni”.

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C’è una frase, buttata lì da Cateno De Luca in una delle sue ormai rituali dirette social, che pesa come un macigno sul futuro di Messina. Pesa più dell’inchiesta della magistratura, più delle carte bollate e delle polemiche quotidiane. È una frase che, al di là del gergo e della consueta teatralità, fotografa una verità desolante, quasi una condanna. “Il rischio è che vi sucate Basile per i prossimi cinque anni”.

Non è una minaccia. È peggio. È la diagnosi spietata di un medico che conosce il suo paziente e sa che non vuole guarire. È il testamento politico di un uomo che, nel bene e nel male, ha capito Messina più di quanto i messinesi abbiano capito sé stessi. Quella frase, tradotta dal “deluchiano”, significa: “Senza di me, questo è ciò che vi rimane. Questo è ciò che vi meritate. Non avete altro”. Ed è qui che la città intera, dai partiti ai movimenti, dai liberi pensatori alla gente di cultura, dovrebbe fermarsi a riflettere, con l’onestà brutale che la situazione impone.

Il punto non è Cateno De Luca. Lui è stato il sintomo, non la malattia. La malattia è il deserto che ha trovato nel 2018 e che gli ha permesso di diventare prima sindaco, poi padre padrone e infine proprietario di un feudo politico che non ha eguali in Italia. Messina è la sua roccaforte, l’unica rimasta, la prateria dove il suo sistema politico può ancora cavalcare. E perché? Perché l’alternativa non è mai nata. È rimasta un borbottio sui social, un lamento nei salotti, un’ambizione sterile di personaggi senza seguito e di partiti senza idee.

Si parla tanto di sistema, di assunzioni che diventano serbatoi di voti. Ma non è forse la versione 2.0 delle vecchie buste della spesa e dei buoni benzina? La politica clientelare non l’ha inventata De Luca; lui l’ha semplicemente ammodernata, l’ha resa più efficiente, quasi industriale. Ha mescolato buoni atti di amministrazione – nessuno lo nega – a una gestione del potere scientifica, pro domo sua, finalizzata a un unico scopo: l’auto-conservazione del suo sistema di potere, a danno di una città che non è la sua, ma solo la sua base di lancio.

Ecco perché quella frase su Basile è un pugno nello stomaco. Perché chiama in causa tutti gli altri. Se il sentimento comune, al netto dei social che non sono il vangelo, è di insofferenza verso l’attuale amministrazione, allora la domanda è semplice e terribile: dov’è l’alternativa concreta? Chi la sta costruendo? Chi sta parlando alla città un linguaggio diverso da quello del rancore o del bisogno?

Il futuro politico di Messina non si decide nelle aule di tribunale, né dipende dall’esito di un’indagine. Si decide nella capacità o nell’incapacità dei messinesi di immaginarsi diversi. Di volere qualcosa di più di un sindaco che si occupa della buca sotto casa in cambio di una fedeltà cieca. La città può rinascere, certo. Ma per farlo deve prima guardarsi allo specchio e ammettere la propria malattia: l’aver permesso a un singolo uomo di inquinare i pozzi del pensiero comune, del dialogo, della condivisione. Aver lasciato che l’egoismo di chi si sognava Zar soffocasse ogni anelito di vera politica.

La rinascita non è un evento, è un processo. E comincia da una presa di coscienza: Messina non è di De Luca. E non deve essere, per inerzia e per ignavia, di chi lui ha designato. Deve tornare ad essere, semplicemente, dei messinesi. Se ne avranno la forza.

Cateno De Luca