
Giuseppe Cangemi, 62 anni, si è costituito per l’omicidio del cognato, Stefano Gaglio, freddato davanti a una farmacia. Il legale parla di “disagio psichico”, ma gli inquirenti scavano su vecchi rancori familiari e questioni economiche.

PALERMO – Un’attesa fredda, quasi un agguato, poi gli spari che rompono la routine mattutina di un quartiere. Infine, una confessione quasi immediata, che però non spiega nulla. Resta avvolto nel mistero il movente dell’omicidio di Stefano Gaglio, il magazziniere di 39 anni ucciso ieri mattina in via Oberdan, nel quartiere Zisa di Palermo, con almeno quattro colpi di pistola. A premere il grilletto è stato Giuseppe Cangemi, 62 anni, operaio della Rap (l’azienda di igiene ambientale comunale) e cognato della moglie della vittima, che dopo il delitto si è consegnato alla Squadra Mobile dicendo semplicemente: “Ho ucciso mio cognato“.
L’esecuzione e la resa
Tutto si è consumato in pochi istanti, poco dopo le 8 del mattino. Stefano Gaglio, sposato e padre di un bambino piccolo, era appena arrivato davanti alla farmacia Sacro Cuore, dove lavorava come magazziniere per un’azienda di distribuzione farmaceutica. Non ha avuto scampo. Cangemi lo attendeva e gli ha sparato a bruciapelo, colpendolo al torace e al collo. Un’esecuzione che non ha lasciato scampo al 39enne, morto sull’asfalto prima dell’arrivo dei soccorsi.
Mentre la scientifica transennava la zona per i rilievi, Cangemi era già in fuga, ma la sua latitanza è durata poco. Braccato dagli agenti, che lo avevano rapidamente identificato, l’uomo è tornato a casa, avrebbe confessato alla compagna di aver “fatto una fesseria” e si è poi presentato in Questura, consegnando la pistola calibro 38 usata per il delitto.
Il mistero del movente
“Non c’è un movente, c’è un forte disagio psichico”. Sono le parole dell’avvocato Salvino Pantuso, che difende il 62enne. La linea difensiva è chiara: l’omicidio sarebbe il gesto di un uomo con problemi mentali, non l’esito di un piano lucido. Durante l’interrogatorio davanti al pm Maurizio Bonaccorso, Cangemi è apparso confuso, farfugliando frasi senza senso. Gli investigatori dovranno ora accertare se si tratti di un reale stato di alterazione o di una strategia per alleggerire la sua posizione.
Tuttavia, gli inquirenti non escludono piste più concrete. Nonostante le smentite del legale, si scava nei rapporti familiari, descritti come tesi da tempo. Al centro dei sospetti ci sarebbero vecchi rancori e questioni economiche, forse legati a prestiti mai restituiti o a dissapori su un’eredità. La Procura, che accusa Cangemi di omicidio volontario aggravato dalla premeditazione, sta interrogando senza sosta i familiari per ricostruire la rete di relazioni e far luce su quel rancore covato per anni e sfociato in un delitto brutale.
“Il mio assistito ha ammesso le sue responsabilità e si è dimostrato collaborativo”, ha aggiunto l’avvocato Pantuso. Ma la sua confessione, al momento, non basta a spiegare perché un uomo di 62 anni abbia deciso di porre fine alla vita del cognato in una tranquilla mattina palermitana.











