

C’è un genio amaro, quasi intraducibile, nella lingua siciliana. Una capacità di sintesi che con una sola parola può fotografare un disastro. L’ultima perla arriva dal dissenso contro la nomina del 29enne Luigi Genovese ai vertici dell’Azienda Siciliana Trasporti (AST). Lo slogan che campeggiava ieri sorretta da esponenti di Italia Viva come Davide Faraone, Fabrizio Micari ma anche da Ismaele La Vardera, sotto la sede dell’azienda è un capolavoro di sarcasmo: “Ast..utò. il merito si è spento qui”.

Per i non avvezzi al dialetto, “astutò” significa semplicemente “lo ha spento”. Un gioco di parole fulminante che unisce la sigla dell’azienda al suo triste epilogo: l’interruttore del merito è stato abbassato, la luce della competenza spenta. A premere quell’interruttore, secondo i manifestanti, è stato il presidente della Regione, Renato Schifani, incoronando un giovane ex deputato il cui curriculum più pesante sembra essere il cognome che porta: Genovese. Figlio di Francantonio, ex sindaco di Messina e potente figura politica, Luigi si accomoda su una poltrona strategica senza, a detta delle opposizioni, alcuna esperienza specifica nel settore.
La protesta, organizzata da Italia Viva, non usa mezzi termini. “In Sicilia il merito è morto, assassinato dalla lottizzazione di Renato Schifani”, tuona il vicepresidente del partito, Davide Faraone. E l’amarezza si fa beffa, ricordando un paradosso quasi comico: “Lo stesso presidente che aveva fatto ricorso al Tar contro Salvini per la nomina di Annalisa Tardino all’Autorità portuale, sostenendo che non avesse i requisiti, oggi riempie enti strategici di trombati e tromboni, scelti non per competenza ma per appartenenza politica“. Un concentrato, conclude, di “nepotismo, negligenza e malaffare”.
Ma il caso Genovese non è un fulmine a ciel sereno. È piuttosto l’ennesima, prevedibile puntata di una serie che i siciliani conoscono a memoria. “Noi, ormai, in Assemblea Regionale siamo abituati”, commenta sconsolato Ismaele La Vardera, leader di Controcorrente, presente al sit-in. “I deputati pensano più agli interessi personali e a nominare gli amici degli amici, e così tanti siciliani sono costretti a lasciare questa terra solo perché non hanno un ‘santo in paradiso‘”. La sua analisi è spietata: le risorse pubbliche non sono strumenti per il bene comune, ma “regali di compleanno”, elargiti con una mentalità che vede il potere “come un privilegio da distribuire, non come una responsabilità da esercitare“.
Se ci fosse un manuale non scritto su come ottenere una nomina in Sicilia, le regole le ha riassunte perfettamente Fabrizio Micari, ex rettore dell’Università di Palermo. Il primo requisito? “L’incompetenza: se di quel tema non sai nulla, paradossalmente, diventa quasi un punto a favore“. Il secondo: “aver partecipato a un’elezione recente, possibilmente senza essere stati eletti“, un modo per ricompensare chi ha portato qualche voto ma non abbastanza per una poltrona elettiva. Il terzo, il più importante: “avere un parente o un notabile amico a cui garantire consenso“. Perché, ovviamente, chi ti “sistema” poi pretende fedeltà.
E così, mentre l’isola si svuota di giovani e talenti in cerca di un futuro basato sul valore e non sull’appartenenza, la politica siciliana celebra i suoi antichi riti. La nomina di Genovese non è solo un nome su una delibera, è il simbolo di una terra che ha spento l’interruttore. Ast…utò. E in quel buio, la sfiducia verso le istituzioni diventa l’unica luce a rimanere, paradossalmente, accesa e accecante. “Questa manifestazione è solo la prima di una lunga serie“, promettono. C’è da credergli.











