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Messina e il Crack: anatomia di un’emergenza annunciata

- 14/09/2025
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Le parole del Procuratore della Repubblica di Messina, Antonio D’Amato, non sono un fulmine a ciel sereno. Sono la sirena di un’ambulanza che corre a fari spenti da anni, il cui suono era coperto dal frastuono dell’indifferenza.

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di GIUSEPPE BEVACQUA

Quando un magistrato espone con tale nettezza l’allarme sulla diffusione del crack, non sta svelando un segreto, ma sta certificando un fallimento collettivo. Sta confermando quello che le cronache locali scrivono da tempo, inascoltate: Messina è in piena emergenza, ostaggio di una sostanza che non si limita a uccidere chi la consuma, ma che produce un’onda d’urto devastante fatta di violenza, microcriminalità e disintegrazione sociale.

L’indifferenza pericolosa

Ho scritto più volte di crack e di droghe chimiche, dei loro danni, della loro rapida diffusione. Il risultato, fino ad oggi, è stato solo silenzio, indifferenza. Un sentimento prodotto da un pensiero ingenuo: non è un problema mio… Ma la realtà è ben diversa. Ed è meglio essere ben informati e ben pronti, in una città dove l’emergenza c’è e cammina accanto ai nostri figli.

La Sostanza: Un veleno scientifico a basso costo

Per comprendere la crisi, bisogna partire dalla sostanza. Il crack non è semplicemente “una droga”. È un derivato chimico della cocaina base, studiato in laboratorio per un unico scopo: creare una dipendenza assoluta e istantanea. Viene venduto in cristalli, fumato, e raggiunge il cervello in pochi secondi, provocando un’euforia tanto potente quanto effimera. Il suo prezzo irrisorio, talvolta 5 o 10 euro a dose, lo rende accessibile a chiunque, soprattutto ai giovanissimi.

Ma il vero costo si manifesta sul piano psichiatrico. L’uso di crack, anche limitato nel tempo, innesca patologie gravissime e, questo è il punto cruciale, irreversibili. La struttura psicologica dell’individuo viene frantumata. Non si tratta di “sballo”, ma dell’insorgenza di disturbi come la schizofrenia paranoide, forme acute di narcisismo patologico e depressioni maggiori resistenti ai farmaci. La personalità del consumatore viene riscritta dalla sostanza, che lo trasforma in un burattino governato da un unico impulso: la ricerca della dose successiva. Da questa alterazione chimica e strutturale del cervello, non si torna indietro.

Il Mercato Fluido: Lo spaccio oltre la piazza

L’idea dello spaccio confinato in ghetti o piazze definite è un’immagine superata, quasi romantica nella sua ingenuità. Il mercato a Messina, come nel resto d’Italia, è diventato fluido. Gli spacciatori non aspettano il cliente; lo vanno a cercare. Si muovono come predatori nei punti di aggregazione: davanti alle scuole, nei pressi dei locali della movida, nei parchi pubblici. L’obiettivo è la ricerca sistematica di nuovi consumatori, perché il crack garantisce una cosa: chi prova una volta, quasi certamente diventerà un cliente a vita.

La prigionia è immediata. Non serve essere un tossicodipendente cronico. Basta una dose per innescare un meccanismo di craving – un desiderio ossessivo e totalizzante – di una violenza inaudita, che annienta ogni altra volontà.

«Non pensi ad altro», racconta Roberto, nome di fantasia. «Non esiste la fame, non esiste il sonno, non esistono gli affetti. Esiste solo un buco nero nello stomaco e nella testa che ti urla che devi trovare un’altra dose. Subito. E per farlo sei disposto a tutto: mentire, rubare a tua madre, tradire chiunque. Non sei tu, è una bestia che ti cammina dentro».

Famiglie al Macero: La Solitudine di chi non sa

Se le strutture sanitarie sono impreparate, le famiglie sono letteralmente all’oscuro. La conoscenza del fenomeno è quasi nulla. I primi segnali – un’aggressività insolita, la sparizione di piccoli oggetti, un’apatia profonda alternata a euforia immotivata – vengono spesso confusi con crisi adolescenziali. Quando la verità emerge, è quasi sempre troppo tardi e la famiglia si ritrova sola, impreparata a gestire una persona trasformata dalla sostanza in un nemico in casa.

Manca una rete di supporto. Non esistono sportelli di ascolto e sostegno psicologico dedicati specificamente ai familiari di chi abusa di crack. Queste persone lottano quotidianamente contro manipolazioni, violenze verbali e fisiche, e il terrore costante che il proprio caro possa compiere atti criminali per procurarsi la droga. Sono vittime due volte: della dipendenza del proprio congiunto e dell’abbandono delle istituzioni.

Il Deserto Terapeutico: Un Sud senza cure

Qui si tocca il nervo scoperto del fallimento dello Stato. Il craving da crack non si supera con la forza di volontà. È una tempesta neurochimica che richiede un approccio integrato: una terapia farmacologica mirata a contenere l’impulso, un supporto psicologico costante da parte di operatori specializzati e, fattore imprescindibile, l’allontanamento totale dall’ambiente di vita del paziente.

Tutto questo ha un nome: struttura a “doppia diagnosi”, ovvero un centro attrezzato per curare contemporaneamente la dipendenza (diagnosi 1) e la patologia psichiatrica che ne deriva (diagnosi 2). E qui emerge un dato incontestabile e scandaloso: da Viterbo in giù, in Italia, non esistono comunità terapeutiche a doppia diagnosi accreditate con il sistema sanitario pubblico.

La legge anti-crack, varata con enfasi dall’Assemblea Regionale Siciliana, resta lettera morta senza i luoghi fisici dove attuarla. Non bastano centri di ascolto o di prima accoglienza, non bastano parole e proclami, non servono soldi pubblici stanziati che non producono nulla di concreto perché magari in mano a chi non sa e non scende in strada a vedere quel che accade davvero.

Le famiglie messinesi, come quelle di tutto il Sud, sono costrette, se ne hanno le possibilità economiche, a un esodo della disperazione: mandare i propri figli in comunità del Nord Italia, con rette che superano abbondantemente le migliaia di euro al mese, se sono private o che gravano sulla sanità pubblica con un costo esorbitante e sempre crescente. E poi c’è il capitolo della normativa, che non aiuta: per essere ammessi a percorsi di recupero è necessario, a meno che non si tratti di minori, che la volontà di farlo sia espressa chiaramente dal soggetto. Non c’è famiglia che possa obbligare un proprio congiunto ad entrare in una comunità. L’unica possibilità, quindi, è la denuncia per maltrattamenti, furti in casa, aggressione… Con la speranza che il giudice assegni il proprio congiunto ad una comunità, come misura alternativa al carcere. Le famiglie si trovano, pertanto, di fronte ad una scelta dolorosa, coraggiosa, anche pericolosa. Ma è l’unica possibile per salvare un figlio, un marito, una moglie.

L’emergenza crack a Messina esiste: è dominata da un mercato criminale efficiente, che vende una sostanza scientificamente creata per schiavizzare, in un tessuto sociale impreparato e con un sistema di cura drammaticamente, colpevolmente, assente. La vera domanda, quindi, non è più se l’emergenza esista, ma perché si sia permesso che dilagasse indisturbata per così tanto tempo. E se, adesso che un alto magistrato lo ha riconosciuto, cambierà qualcosa.

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