
La vittima ha parlato per ore con la procuratrice Caramanna: un racconto straziante confermato dai referti medici. I presunti responsabili farebbero tutti la prima media: non sono imputabili. Si indaga su bullismo e sfide social

PALERMO – È una storia brutta, dove la distinzione tra vittima e carnefici si perde nell’anagrafe di un’età che dovrebbe essere quella dell’innocenza. Sulle Madonie, in un comune che si è chiuso in un silenzio attonito, si consuma un dramma che ha i contorni dell’abisso: un bambino di 11 anni è stato violentato da un “branco”. E il branco, secondo le prime ricostruzioni, sarebbe composto interamente da suoi coetanei. Ragazzini di prima media, forse compagni di classe, che fuori dai cancelli della scuola si sono trasformati in aguzzini.
Ieri è stato il giorno più difficile. L’undicenne, accompagnato dai genitori e protetto dalla presenza di uno psicologo, si è seduto davanti alla procuratrice per i minori Claudia Caramanna. Un colloquio lunghissimo, estenuante, definito “molto pesante”. Il bambino è ancora sotto shock, profondamente turbato, ma ha trovato la forza di riavvolgere il nastro e tornare a quel momento, fuori da scuola, quando l’aggressione ha avuto luogo. Il suo racconto, avvenuto con estrema fatica, è ora il pilastro dell’inchiesta condotta dal commissariato di Termini Imerese. A blindare la veridicità delle sue parole ci sono i referti medici: portati al pronto soccorso dai genitori subito dopo la confessione fatta alla madre, i sanitari hanno riscontrato segni sul corpo compatibili con una violenza sessuale. Sono stati loro, seguendo il “codice rosa” dedicato alle vittime di abusi, ad allertare immediatamente la polizia.
Compagni di classe e non imputabili
Il riserbo della Procura è massimo, sia per tutelare la vittima sia per identificare con certezza i responsabili. Ma un dato trapela con inquietante chiarezza: aggressori e vittima si conoscono. Frequenterebbero lo stesso istituto, forse la stessa aula. Qui si apre il nodo giuridico e sociale più doloroso. Se fosse confermato che tutti i componenti del gruppo hanno 11 anni, nessuno di loro sarebbe imputabile. Per la legge italiana, sotto i 14 anni non si può essere sottoposti a processo penale, aprendo la strada a percorsi di recupero sociale e interventi sulle famiglie, ma non a condanne detentive.
Le ipotesi: dal bullismo alle sfide social
Perché lo hanno fatto? È la domanda che tormenta gli inquirenti. Sul tavolo della procuratrice Caramanna ci sono diverse piste. La più accreditata lega la violenza sessuale a un contesto di bullismo estremo, una persecuzione degenerata in abuso fisico. Si scava nel passato recente, cercando episodi avvenuti dall’inizio dell’anno scolastico che possano essere stati il preludio all’aggressione. Ma non si escludono scenari più moderni e altrettanto spaventosi: l’emulazione di videogiochi violenti o, peggio, l’ombra delle challenge, le sfide nate sui social network che spingono i giovanissimi a compiere atti estremi per un pugno di like o per dimostrare “coraggio” al gruppo.
Le indagini
Ora si cerca di chiudere il cerchio. Dopo aver ascoltato la vittima e i genitori, gli investigatori sentiranno gli insegnanti e il personale scolastico. Si cercano conferme sui rapporti tra i ragazzini, su segnali di disagio che potrebbero essere stati sottovalutati, su dinamiche di classe tossiche sfociate in un crimine che lascia senza fiato un’intera comunità. Il bambino, dopo l’osservazione in ospedale, è tornato a casa, circondato dall’affetto della famiglia, mentre fuori la giustizia cerca di capire come un gioco tra bambini si sia trasformato in un incubo da adulti.










