
Danneggiati gli addobbi a pochi giorni dall’inaugurazione. L’amarezza del Sindaco: «Inaccettabile, colpiscono le famiglie». È la solita, triste storia di una minoranza che sabota il bene comune.

Non è durata nemmeno il tempo di abituarsi alla bellezza. A pochi giorni dall’accensione delle luci che dovevano trasformare Villa Dante in un salotto a cielo aperto, la città si risveglia con l’amaro in bocca. Gli addobbi sono stati vandalizzati. Non è un incidente, non è il maltempo: è la mano dell’uomo, o meglio, di quella parte di umanità che sembra trovare gratificazione solo nella distruzione di ciò che è bello.
La reazione del Sindaco è immediata. «Inaccettabile!», scrive sui social, senza giri di parole. E ha ragione. Perché colpire un allestimento natalizio non è un atto di ribellione, è un gesto di profonda vigliaccheria. «È impossibile restare indifferenti davanti a gesti che colpiscono un progetto pensato con cura, tempo e responsabilità», sottolinea il Primo Cittadino. C’è, nelle sue parole, il peso specifico del lavoro gettato al vento: ogni decorazione non era solo plastica e led, ma «il frutto di un lavoro costruito per la comunità».
Ed è qui che l’indignazione cede il passo a una riflessione più cupa, quasi sociologica. Danneggiare Villa Dante significa togliere qualcosa a tutti: ai bambini che sgranano gli occhi davanti alle luci, alle famiglie che cercano un momento di serenità, a chi vive la città con rispetto. È, in termini crudi ma onesti, sputare nel piatto dove si mangia. Sinonimo supremo di stupidità.
Si sparge a piene mani un senso di amarezza, perché questo episodio costringe a fare i conti con una realtà scomoda: esiste una parte di Messina che non ha nulla a che fare con la sua parte migliore. Una zavorra culturale, una sottocultura del dispetto e del degrado che pare dura a morire.
«Difenderli e rispettarli è un dovere che riguarda ciascuno di noi», conclude il Sindaco riferendosi agli spazi pubblici. Vero. Ma resta il retrogusto amaro di dover ancora spiegare, alle soglie del 2026, che distruggere la bellezza pubblica è un autogol che non fa ridere nessuno. È solo triste.










