
Inutile lo sdegno tardivo o la caccia alle streghe contro padre Basile: l’allarme sui 108 minori era stato lanciato pubblicamente il 25 ottobre ma lasciato cadere nell’oblio. Un silenzio colpevole che pesa quanto il fallimento educativo certificato dai numeri del SerD.

Di quei bambini tra gli otto e i nove anni in carico ai Serd di Messina già si sapeva. Bambini che dovrebbero avere le mani sporche di gesso o di marmellata, le ginocchia sbucciate per una corsa in cortile. Invece, a Messina, centoquattro di loro sono già schedati. Sono nomi in una cartella informativa del SerD, il servizio per le dipendenze.
Non sono adolescenti inquieti. Sono bambini della scuola primaria. E questa è una notizia che fa male, o almeno dovrebbe, anche perché pubblica da tempo prima del caso della Commissione servizi sociali del Comune di Messina. Ma facciamo chiarezza compiendo un passo indietro.
Il 21 novembre se ne parla in televisione, nella trasmissione “Scirocco” condotta dal bravo Emilio Pintaldi. Lì, di fronte ai dati snocciolati da Pietro Russo, direttore dei servizi dipendenze patologiche dell’ASp di Messina, è calato il gelo. Un numero che smentisce la narrazione corrente, quella della “buona amministrazione”, del marchio De Luca, della città che si racconta come un’isola felice. Messina non è un’isola felice se 104 dei suoi figli più piccoli hanno bisogno di aiuto per uscire dal buio delle dipendenze.
Curioso il destino di quella puntata televisiva. Chi la cerca oggi sul sito della Gazzetta del Sud non la trova. Un errore tecnico, si dice. Un buco nell’archivio. Può capitare. Ma le parole, una volta dette, pesano, anche se le immagini spariscono.

Il fatto grave, però, non è un video che non si trova. È che questa storia era già nota. Non serviva accendere la tv, bastava leggere. Il 25 ottobre, quasi un mese prima, Letizia Barbera lo aveva scritto con chiarezza sulla Gazzetta. Aveva parlato di 108 studenti della scuola elementare. Di cui 55 seguiti attivamente e ben 24 nuovi arrivi solo nel 2024. La “bomba” era lì, in edicola, sotto gli occhi di tutti.
Eppure, nessuno ha mosso un dito. La politica, che dovrebbe avere le antenne sempre alzate, era distratta. L’assessore Alessandra Calafiore, il sindaco Federico Basile, i consiglieri: possibile che una notizia del genere sia scivolata via come acqua sul vetro?
Siamo arrivati al paradosso. In Commissione servizi sociali, qualcuno ha gridato allo scandalo. Non per i bambini, ma contro chi quei dati li ha ricordati. Se la sono presa con padre Nino Basile e con il giudice onorario Angelo Costantino. Hanno gridato all'”attentato”. La loro colpa? Aver ripetuto ciò che era già pubblico. Aver detto che il re è nudo.
Stupirsi oggi è come scoprire l’acqua calda. Ma è un’acqua che scotta. Perché dimostra che qualcosa non funziona. Si spendono risorse, si finanziano progetti, si parla di welfare. Ma se il risultato è questo, se il disagio aggredisce l’infanzia e nessuno se ne accorge dopo che la notizia finisce sul quotidiano locale ben un mese prima, allora bisogna avere il coraggio di farsi un esame di coscienza.
Quei progetti costosi incidono davvero sulla vita delle persone? O servono solo ad alimentare la burocrazia del bene e l’immagine elettorale? Con i numeri della Messina Social City, molto più numerosa di tutto lo stesso palazzo comunale, che monitoraggio svolgono? Quanto incide davvero la loro attività? Sono quesiti sui quali è dovuta risposta ai cittadini.
Messina deve decidere cosa vuole essere. Non si può governare ignorando le ferite più profonde della città. Quei 104 bambini non sono numeri da nascondere o da usare per battaglie di palazzo. Sono il nostro futuro che rischia di andare in fumo. E non c’è “errore tecnico” che possa cancellare questa responsabilità.










