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Dimissioni anticipate di Basile? Ma se è “buona amministrazione” che senso avrebbe?

- 03/12/2025
De-Luca-e-Basile

Tra lodi settimanali e minacce di dimissioni, il paradosso di una strategia che usa il Comune come palcoscenico privato. Se Basile è un modello, perché interromperne il mandato? Forse perché i conti del consenso non tornano più.

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Un rito si consuma ogni settimana a Palazzo Zanca, la casa dei messinesi. O almeno, dovrebbe essere tale. Ed è bene ricordarlo. Ogni venerdì, come in una liturgia, va in scena la rappresentazione del potere, o della sua illusione. Il vero protagonista non è il padrone di casa istituzionale, il sindaco Federico Basile, bensì il suo mentore, predecessore e oggi primo cittadino della vicina Taormina, Cateno De Luca.

È una situazione curiosa, che sarebbe difficile da spiegare a un osservatore straniero. Un sindaco di un’altra città che dispone del municipio del capoluogo come fosse una dependance privata, un palcoscenico dove recitare il copione della “buona amministrazione”. Ci dicono che va tutto bene, che i risultati sono eccellenti, che la macchina corre. Eppure, in questa narrazione trionfale, si inserisce una nota stonata, un dubbio che De Luca lascia cadere con arte consumata da teatrante: le possibili dimissioni anticipate di Basile.

E qui la logica si inceppa. Se un’amministrazione funziona, se il sindaco è così bravo da meritare la benedizione settimanale del leader ed il suo incensamento di fronte alla città, perché dovrebbe andarsene? Un tempo, le dimissioni erano l’atto finale di un fallimento o la presa d’atto di una impossibilità. Qui diventano una minaccia, o forse una strategia. Ma a chi giova? Non certo alla città, che ha bisogno di certezze e non di rebus.

De Luca sostiene che la decisione non dipenda dagli assetti regionali e neanche nazionali. Sarà. Ma l’impressione è che il leader di “Sud chiama Nord” stia facendo i conti con una realtà diversa da quella trionfale del 2022. I numeri, dicono, non sono più quelli di allora. A livello regionale un sondaggio del centrosinistra darebbe Sud chiama Nord, e quindi De Luca, al 4% Il consenso, quella merce volatile che i social network misurano con crudeltà, è in calo evidente I messinesi, e pare anche i taorminesi, mostrano chiari segni di insofferenza, se non beceri ed ingiustificabili insulti.

Il leader di Sud chiama Nord continua il suo show nel municipio altrui, ma l’ipotesi di far cadere il “delfino” Basile nasconde una verità scomoda: senza voti certi, la politica delle minacce è un’arma spuntata.

E allora il dubbio diventa lecito: e se fosse tutta una questione di sopravvivenza politica? De Luca oggi guarda a quel PD i cui consiglieri messinesi chiamava “pidioti” e a quel Movimento 5 Stelle che disprezzava definendo i suoi componenti politici come “sotto i capelli niente”. Cerca alleanze, disperatamente. Ma in politica, come al mercato, si tratta se si ha qualcosa da scambiare. Se De Luca portasse se stesso o Basile al voto oggi, rischiando una sconfitta o un ridimensionamento, cosa gli resterebbe da impegnare al monte dei pegni della politica? Nulla. Un bluff scoperto vale zero.

Resta il mistero di Federico Basile. Un uomo che appare docile, forse troppo. In tutto questo De Luca ne spara un’altra: “E se ci fossimo scocciati di non avere la maggioranza?”. Ma è una domanda retorica, o una provocazione? A Messina ricordiamo che, Basile ha visto approvare di tutto. L’opposizione, nei fatti, non ha mai bloccato l’ingranaggio, tanto da chiedersi della sua esistenza. Dunque, perché evocare crisi che non hanno alcuna giustificazione politica nè convenienze palesi per la città di Messina?

La sensazione è che a spingere De Luca sia l’ennesima velleità personalistica. Nel 2022 De Luca lasciò Messina inseguendo il sogno della Regione. Andò male, anzi anche bene, visto che si ritrovò secondo dei non eletti, ma non seppe capitalizzare il risultato. Oggi De Luca sembra voler tornare sui suoi passi, magari passando per elezioni anticipate che partirebbero solo se Basile si dimettesse, pur non avendo alcun motivo per farlo e passando per un commissariamento della città. Ma i cittadini non sono pedine da spostare sulla scacchiera delle ambizioni altrui. Se te ne sei andato per cercare gloria altrove, perché adesso vuoi tornare? Se fosse rimasto De Luca oggi avrebbe tranquillamente costruito un quasi certo secondo mandato da sindaco di Messina. Come d’altronde aveva promesso in campagna elettorale. “A Messina farò due mandati, ci resterò dieci anni” affermava il candidato De Luca nel 2017 per poi ribadirlo da neo sindaco. Per poi andarsene lasciando la città la commissariamento e in mano ad un “guardiano dei conti” che i conti se li è fatti sfuggire un po’ troppo spesso. Ma De Luca vuol tornare a Messina perché ha capito che senza la nostra città, roccaforte finanziaria del suo partito, il sipario politico si chiude? O forse perché l’altrove le porte sperate sono rimaste chiuse e ben sprangate?

La politica dovrebbe essere servizio, non un continuo ed estenuante gioco di specchi. E Palazzo Zanca dovrebbe essere il luogo delle risposte, non il teatro dove ogni settimana si ribadisce e si diffonde incertezza.

De Luca Basile
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