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Il dietrofront sulla sospensione non cancella la vergogna: tutti svegli solo dopo la stampa, ma De Luca perché non manda gli ispettori alla Messina Social City?

- 28/11/2025
calafiore

L’assessore Calafiore accusa la scuola di non aver comunicato, ma la toppa è peggio del buco: con tre operatori al fianco del ragazzo, la Messina Social City ha scoperto il caso solo dai giornali. De Luca invoca gli ispettori per il preside, ma blinda la partecipata che ha lasciato il minore senza scudo.

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Il dirigente Michele Bonardelli ha fatto marcia indietro. La sospensione del bambino autistico di 11 anni, gravissimo grado 3, colpevole di aver agito secondo la sua natura toccando una compagna, è stata revocata. Carta straccia. Ma questo “lieto fine” amministrativo non inganni nessuno: è solo il tentativo maldestro di rimettere il dentifricio nel tubetto dopo che il caso è esploso su tutti i giornali. La revoca del provvedimento non è una vittoria della giustizia, è la certificazione di un fallimento collettivo che ha nomi e cognomi.

Mentre Sud chiama Nord, il partito di Cateno De Luca, si affretta a chiedere l’invio di ispettori ministeriali alla scuola “Dina e Clarenza” puntando il dito contro l’istituzione statale, c’è una domanda che nessuno, nel cerchio magico del Sindaco e dell’ex Sindaco, ha il coraggio di farsi: perché non si richiedono ispezioni anche per la Messina Social City?

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Il bambino non era solo. O almeno, non doveva esserlo. Aveva assegnate ben tre figure di sostegno, gestite proprio dalla Messina Social City. Eppure, l’azienda partecipata che gestisce il welfare messinese in questa storia ha brillato per la sua assenza, o peggio, per la sua inefficacia.

Le dichiarazioni dell’assessore alle Politiche Sociali, Alessandra Calafiore, suonano come un’ammissione di colpa involontaria. «La scuola non si è interfacciata con noi», dice la Calafiore, lamentando una mancanza di comunicazione. Parole gravissime. Se la scuola non chiama, gli operatori della MSC che fanno? Dormono? Sono dei semplici passacarte o sono educatori e assistenti che vivono la quotidianità del ragazzo? Com’è possibile che chi aveva in carico il minore – pagato con soldi pubblici per essere la sua ombra e la sua guida – non sapesse nulla di quanto stava accadendo tra i banchi?

Se il bambino ha avuto comportamenti “problematici”, dov’erano gli operatori della Social City per prevenirli o gestirli? E se la scuola ha notificato una sospensione, com’è possibile che la notizia non sia rimbalzata all’istante negli uffici della partecipata tramite il proprio personale, ma si sia dovuto attendere il clamore mediatico?

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La verità, cruda e fastidiosa, è che si sono svegliati tutti tardi. Si sono svegliati i Garanti, si è svegliato il Preside, si sono svegliati gli operatori e si è svegliata la politica, ma solo dopo che la stampa ha sbattuto il mostro in prima pagina. Prima dell’indignazione a mezzo social, il sistema aveva accettato che un bambino autistico grave venisse trattato come un bulletto qualsiasi.

Salta agli occhi un paradosso inaccettabile: la Messina Social City vanta un esercito di dipendenti, numeri da colosso, eppure la quantità non si traduce in qualità. Con quella forza lavoro, il servizio all’utenza – specialmente quella più fragile – dovrebbe essere impeccabile, chirurgico, proattivo. Invece ci ritroviamo a commentare un bambino lasciato solo nel momento del bisogno e una catena di comando che scarica le responsabilità sulla scuola per nascondere le proprie falle.

È facile chiedere la testa del Preside. Molto più difficile guardarsi allo specchio e ammettere che il sistema di welfare comunale, in questo caso, è stato solo un costoso spettatore non pagante.

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