Nel 31% dei casi il movente è la “conflittualità” domestica. L’omicidio non è un raptus, che psicologicamente non ha neanche definizione scientifica, non è un fulmine a ciel sereno: è l’atto finale di una gestione violenta del potere. È controllo, non amore.


di GIUSEPPE BEVACQUA
Guardiamo i numeri, freddi come l’obitorio, e togliamoci subito dalla testa la favola del progresso inarrestabile. L’Italia degli ultimi vent’anni si è rifatta il trucco, è diventata digitale, europea, politicamente corretta nei salotti televisivi. Ma se scendiamo giù, dove la statistica incontra la carne viva, scopriamo che il paese reale è rimasto impantanato in una palude che credevamo bonificata.
La prima verità scomoda è quella dei morti ammazzati. Se prendiamo i dati del Viminale dal 2005 a oggi, vediamo una curva che scende a picco: gli omicidi totali sono crollati. La mafia non spara quasi più, la criminalità di strada uccide meno. L’Italia è diventata uno dei paesi più sicuri d’Europa, se sei un uomo. Ma se sei una donna, la musica cambia, o meglio, il disco è incantato.
Mentre gli uomini smettevano di ammazzarsi tra loro per affari o rapine, hanno continuato ad ammazzare le mogli, le compagne, le fidanzate con una costanza metronomica. Quello che i sociologi chiamano “zoccolo duro” è in realtà un cimitero stabile: oscilliamo tra le 100 e le 120 donne uccise l’anno, quasi una ogni tre giorni. Vent’anni fa il femminicidio era una percentuale minoritaria sul totale dei delitti; oggi, in un paese che non uccide più, le donne rappresentano una fetta enorme dei morti violenti. Abbiamo bonificato le strade, ma abbiamo lasciato che le case diventassero mattatoi.
Se confrontiamo le grandi indagini ISTAT del 2006 e del 2014, la fotografia è immobile. Il dato strutturale è inchiodato al 31,5%. Una donna su tre, tra i 16 e i 70 anni, ha subito violenza fisica o sessuale. Già nel 2006 la violenza fisica colpiva il 18,8% delle donne. E attenzione: spesso è una violenza “senza minacce”, fatta di spinte e strattoni, segnale che l’abuso è diventato una routine quotidiana, quasi banale. La violenza sessuale riguardava il 23,7% delle intervistate. Parliamo di un milione di vittime di stupro o tentato stupro. Un esercito di silenziose sopravvissute.
Guardando le carte del 2024, saltano agli occhi due fenomeni che le cronache spesso ignorano. Il primo è la strage delle donne anziane. Le over 65 sono ora il 37,4% delle vittime. Vengono uccise da mariti coetanei o da figli, nel silenzio di case diventate prigioni di solitudine, dove la fragilità e la malattia non trovano risposte se non nella soppressione. Il secondo fenomeno smonta molta retorica politica. Aumentano le vittime straniere (sono il 24,2%), ma crollano gli autori stranieri (meno 30,4%). Significa una cosa sola: le donne straniere in Italia rischiano di più, ma spesso per mano di italiani o in dinamiche familiari che nulla hanno a che vedere con la nazionalità dell’assassino. Il passaporto non c’entra, il patriarcato sì.
Nel 2024, su 113 vittime stimate, 61 sono state uccise dal partner o dall’ex. E cambiano anche le parole per raccontarlo. Un tempo si liquidava tutto con la comoda etichetta della “gelosia”, quasi fosse una giustificazione sentimentale. Oggi i dati del Ministero dell’Interno ci dicono che nel 31% dei casi il movente è la “conflittualità” domestica. L’omicidio non è un raptus, che psicologicamente non ha neanche definizione scientifica, non è un fulmine a ciel sereno: è l’atto finale di una gestione violenta del potere. È controllo, non amore.
LA GENERAZIONE Z
Tuttavia, l’errore più grossolano che si possa fare è pensare che sia una questione di “vecchia mentalità”, roba da padri padroni destinati all’estinzione. Qui entra in gioco l’indagine sui giovani, quella che fa più male. Ci siamo raccontati che i millenial e la generazione Z, cresciuti a pane e diritti civili, fossero immuni. Falso. Le rilevazioni Istat e i rapporti delle onlus tipo Save the Children ci sbattono in faccia una realtà che non vogliamo vedere: il possesso ha solo cambiato tecnologia.
Vent’anni fa la gelosia ossessiva era il marito che chiudeva la moglie in casa. Oggi, nel 2025, è il ragazzino di sedici anni che pretende la password di Instagram della fidanzata come “prova d’amore”. Le percentuali sono agghiaccianti: una quota rilevante di adolescenti ritiene “normale” che il partner controlli il cellulare, che decida come ci si deve vestire, che isoli l’altro dagli amici. È il patriarcato 2.0, più insidioso perché viaggia su fibra ottica. La violenza non inizia con lo schiaffo, inizia con la geolocalizzazione pretesa su WhatsApp.
LA VIOLENZA “ONLIFE”
La violenza si è aggiornata, è diventata “onlife“, un ibrido tra reale e virtuale. Il 36% dei ragazzi ritiene accettabile controllare il telefono del partner. La fiducia è sostituita dalla sorveglianza. L’11,1% considera “normale” uno schiaffo ogni tanto. Il 7,3% lo giustifica se lei ha “flirtato”. Soprattutto, resistono gli stereotipi. Per il 56,4% dei giovani l’aspetto fisico conta più per lei che per lui. E per un ragazzo su quattro, l’uomo è meno adatto alle faccende domestiche.
Mettendo in relazione i dati, il quadro che ne esce è quello di un fallimento educativo colossale. Abbiamo insegnato alle ragazze a essere libere, a studiare (si laureano più e meglio dei maschi), a lavorare. Ma non abbiamo insegnato ai maschi ad accettare questa libertà. I dati sulle violenze sessuali e sulle molestie ci dicono che il rifiuto non è ancora un concetto assimilato. Vent’anni fa si parlava di “delitto d’onore” come un retaggio arcaico; oggi ci troviamo davanti a ragazzi che non sanno gestire un “no” senza andare in cortocircuito, che confondono il desiderio con il diritto di prelievo.
Qualcosa, però, si muove. Non diminuiscono i reati, ma cambia la reazione. Le donne non tacciono più. Le leggi sullo Stalking del 2009 e il Codice Rosso del 2019 hanno aperto una diga. Siamo passati dalle 5.200 denunce per stalking del primo anno a quasi 30.000 registrate tra il 2023 e il 2024. Funzionano gli ammonimenti del Questore (oltre 8.700 in due anni) e il numero verde 1522 ha visto le chiamate impennarsi del 57% nel 2024. La vergogna sta lasciando il posto alla consapevolezza. Le donne chiedono aiuto, lo Stato prova a rispondere. Ma la risposta non è ancora del tutto adeguata e, soprattutto, tempestiva e correttamente formata.
LEGGI CHE “CORRONO” E CULTURA CHE ARRANCA
Abbiamo un Paese dove le leggi corrono, ma la cultura arranca. Abbiamo strumenti potenti — denunce, ammonimenti, braccialetti elettronici — ma i numeri ci dicono che la radice del male è profonda. Dal quindicenne che pretende la password di Instagram al sessantenne che uccide la moglie malata, il filo rosso è l’idea del possesso. La donna come proprietà. Finché non cambierà questo pensiero, potremo scrivere tutte le norme che vogliamo, ma continueremo a contare le vittime.
L’Italia è cambiata, certo. È cambiata la facciata. Abbiamo leggi più severe, il Codice Rosso, le panchine rosse in ogni piazza. Ma la statistica non mente: la violenza sulle donne non è un’emergenza, è una struttura. Un pilastro marcio che regge ancora il tetto di troppe case italiane, e che i nostri figli, invece di abbattere, stanno ridipingendo con i colori del controllo digitale.










