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Archivio di Stato di Messina, la memoria inscatolata: si tace mentre la Storia cittadina trasloca

- 10/10/2025
dove siamo

Un patrimonio di otto secoli pronto a lasciare Messina tra ritardi colpevoli e silenzi assordanti. La società civile chiama alla mobilitazione per impedire l’ennesima spoliazione della città.

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Sembra che a Messina il tempo si sia fermato, ma non per la contemplazione del suo glorioso passato, quanto per l’incapacità cronica di difenderlo. L’ultimo, assordante schiaffo alla dignità cittadina ha il rumore secco del nastro adesivo che sigilla gli scatoloni: l’Archivio di Stato, scrigno di otto secoli di storia messinese, sta lasciando la città. Destinazione: Catania. Non è un’indiscrezione, ma una cruda realtà che si consuma sotto gli occhi di tutti, mentre il primo camion ha già iniziato il suo viaggio.

La causa scatenante è uno sfratto esecutivo dalla storica sede di via La Farina. Una fine locazione, una questione burocratica che, per inerzia e colpevole ritardo, si è trasformata in un’operazione di spoliazione culturale senza precedenti. Per mesi, se non anni, nessuno ai vertici istituzionali è stato in grado di trovare una soluzione, un’alternativa dignitosa all’interno delle mura cittadine. E così, di fronte al “problema”, la soluzione più semplice, la più umiliante, è stata servita su un piatto d’argento: trasferire tutto a Catania.

Mentre la direttrice dell’Archivio ha proceduto con una decisione che appare autonoma e sorda a qualsiasi appello, ci si chiede dove fosse la politica locale, regionale e nazionale. Dov’erano le istituzioni quando si è permesso che la situazione incancrenisse a tal punto? Le tardive prese di posizione, come quella del sindaco Federico Basile che si dice “pronto a garantire una soluzione temporanea“, suonano ormai come un debole tentativo di arginare un’emorragia già in atto. Parole che arrivano mentre i documenti che raccontano secoli di vita, commerci, atti notarili e vicende umane della nostra terra sono già imballati, pronti per essere archiviati altrove. Così come della “soluzione” annunciata dal senatore Nino Germanà se ne è persa traccia. Bisognava pensarci prima.

Questo non è un semplice trasloco. È l’amputazione di un organo vitale della città. L’Archivio di Stato è la memoria collettiva, il DNA di una comunità che ha resistito a terremoti e guerre. Trasferirlo significa negare alle future generazioni di messinesi l’accesso diretto alle proprie radici, costringendo studiosi, ricercatori e semplici cittadini a un umiliante pellegrinaggio per consultare la propria storia.

La società civile, dal canto suo, si mobilita. Intellettuali come il professor Marcello Saija hanno definito l’atto “ingiusto e intollerabile”, mentre associazioni e comitati hanno indetto una manifestazione di protesta per sabato mattina, alle 11, davanti a Palazzo Zanca. Un appello disperato a quella parte di città che non si è ancora arresa all’idea di essere una semplice provincia di Catania, una terra da cui si può prendere senza mai dare.

Questa vicenda è il sintomo di una malattia più profonda: la rassegnazione. Messina non può e non deve essere la città degli scippi perpetui, dell’eterna emergenza che giustifica ogni perdita. È il momento che la comunità si scuota dal torpore. La difesa dell’Archivio di Stato non è una battaglia di retroguardia per pochi eruditi, ma una lotta per l’identità e il futuro. Bisogna pretendere risposte, esigere soluzioni e, soprattutto, impedire che l’ultimo pezzo della nostra anima venga caricato su un tir. Messina deve dimostrare, con i fatti e con una mobilitazione senza precedenti, che la sua storia non è in vendita, né tantomeno in trasloco.

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