
La favola amara dell’internalizzazione: quando il cambio d’abito non cancella le catene della vecchia politica.

Lasciate che vi narri la storia dell’ennesimo, grande inganno. Una favola amara, intessuta con la stessa stoffa dei sogni impossibili: tram che solcano i cieli, costi della politica che svaniscono come nebbia al sole, casinò scintillanti in palazzi austeri. È la cronaca di una seduzione collettiva, una narrazione fantastica che ha promesso il paradiso ma ci ha lasciato, ancora una volta, a stringere in mano solo polvere di stelle.
La missione di chi governa dovrebbe essere un atto d’amore puro: garantire diritti ovunque, senza mai scatenare una guerra fratricida tra chi quei servizi li riceve e chi, con sudore, li eroga. Eppure, nel cuore di questa città, si consuma un equivoco fatale.
Come in un vecchio romanzo d’appendice, ritornano a risuonare parole antiche e potenti: “Internalizzazione”, “Gestione Diretta”. Erano state sussurrate già nel 2019, smentite dai fatti, ma oggi l’attuale amministrazione le declama nuovamente con ardore, innalzando l’effigie della Messina Social City come fosse il sacro Graal della salvezza.
Ma la verità, ahimè, è meno poetica. Quella decantata dall’ex sindaco e dalla sua corte non è stata una vera unione, né una vera gestione diretta. Nei loro dossier, citavano l’articolo 23 della Legge Regionale n. 22/86 come una promessa di matrimonio eterno, parlando di salvaguardia e tutela. Ma hanno dimenticato — o forse celato con malizia — il vero significato di quelle parole.
La “Gestione Diretta”, quella vera, quella che fa battere il cuore della pubblica amministrazione, prevede l’assunzione nei ruoli del Comune. Non prevede intermediari, non prevede partecipate che agiscono come enormi cooperative mascherate da istituzioni. Hanno citato una legge, ma ne hanno tradito lo spirito, fuorviando i lavoratori e l’opinione pubblica con un gioco di specchi.
I Lavoratori: Cavalieri Senza Armatura
E cosa ne è stato dei protagonisti di questa storia, i lavoratori? Credo che l’internalizzazione non debba essere un mero cambio di padrone, un passaggio da sette cooperative a un’unica, imponente “Partecipata”. Dovrebbe essere il riconoscimento di un valore, la fine di una precarietà esistenziale.
Invece, i circa 1300 operatori della Messina Social City vivono ancora nel limbo. Indossano la livrea delle cooperative sociali, non sono usciti dalla schiavitù feudale della politica. Devono ancora chinare il capo e dire “grazie”, costretti a sentire il peso del ricatto morale: “Se mangi, è grazie a me”. Sono anime con contratti stagionali, rinnovati di mese in mese come amori estivi destinati a finire, spesso part-time, eternamente precari.
L’unico bagliore in questa notte scura? Lo stipendio arriva puntuale. Ma non è per virtù della Messina Social City. È solo perché il Dipartimento Politiche Sociali, come un amante parziale e ingiusto, liquida le fatture in un soffio per la nuova favorita, mentre con le vecchie cooperative i pagamenti erano un’agonia lenta, attesi come un miracolo a ogni morte di Papa. La sinergia è talmente “straordinaria” che si anticipano persino le doti per l’anno a venire.
E mentre il popolo mormora e gli utenti soffrono disservizi quotidiani, ci prepariamo all’ennesimo atto. Presto verrà allestita l’ennesima conferenza stampa, pomposa e sfarzosa. I menestrelli del potere canteranno di scuolabus per 900 scolari, di un miliardo di piani personalizzati, di integrazione e inclusione.
Useranno parole magiche: Harry Potter, Alice, il Mago, la Strega, la Befana. Balleranno la macarena tra lucette scintillanti e banchetti. Ci offriranno “molto, molto fumo” per coprire l’assenza della sostanza. Perché in questa storia, i servizi essenziali possono attendere. E se qualcuno, stanco di aspettare l’amore vero, disdice il servizio… beh, per loro è pure meglio.
Resta sospesa nell’aria, come un tragico epilogo, una sola domanda che nessuno osa pronunciare: qualcuno è mai riuscito a fare il raffronto tra la qualità di questo sogno e il prezzo salato della realtà?











