L’ex consigliere Luigi Sturniolo smonta il “miracolo” contabile di Basile e De Luca: i debiti non sono evaporati, sono stati solo spostati o nascosti nelle pieghe del bilancio. E con la fine della pioggia di soldi del Pnrr nel 2026, la narrazione del risanamento rischia di schiantarsi contro la dura realtà dei numeri.


di GIUSEPPE BEVACQUA
In Italia la matematica è un’opinione e il bilancio di un ente pubblico è spesso un esercizio di letteratura fantastica più che di ragioneria. A Messina, da tempo, va in scena l’ennesima rappresentazione del “miracolo siciliano”, quella specialità nostrana in cui il disastro viene venduto come trionfo e il debito, come per magia, scompare dai radar ma non dalle tasche dei cittadini.
Gino Sturniolo, uno che i conti li sa leggere e che ha il vizio di non accontentarsi della propaganda, ha deciso di rovinare la festa. Già consigliere con Accorinti, poi critico costruttivo, oggi è quella voce fuori dal coro che serve come il pane in una città stordita dalla ormai martellante narrazione “deluchiana”. Cosa dice Sturniolo? Ci dice che il Re è nudo, o quantomeno che si è vestito con abiti presi in prestito che presto dovrà restituire.
Il sindaco Federico Basile, fedele esecutore dello spartito composto dal suo predecessore Cateno De Luca, va in giro a dire che il mostro è stato sconfitto. “Avevamo 550 milioni di debiti, ne restano 18”, proclama. Un capolavoro, verrebbe da dire. Se fosse vero. Ma grattando via la vernice luccicante del marketing politico, emerge una vecchia impalcatura rugginosa.
L’analisi di Sturniolo è puntuale nella sua precisione contabile. Come si fa a far sparire centinaia di milioni? Semplice: si spostano. È il gioco delle tre carte applicato alla finanza locale. I debiti delle società partecipate – 132 milioni di euro, non noccioline – sono stati “espunti” dal piano. Non pagati, badate bene: tolti dal foglio excel principale. Ma quei debiti esistono, sono lì, come grosse pietre pronte a rotolare a valle sotto forma di contenziosi infiniti, vedi il caso Ato e Messinambiente. Ma anche quella bad company, l’ATM mai chiusa, che è rimasta in coma ma non morta con tutti i debiti pronti a risvegliarsi.
Insomma, hanno tolto il disavanzo tecnico, hanno svuotato il fondo rischi perché, sulla carta, i rischi li hanno spostati altrove.
È l’arte di “sanare” senza pagare. Certo, va riconosciuto che le transazioni al 50% con i creditori hanno portato un risparmio, ma è la classica vittoria di Pirro, secondo quanto si evince da quel che scrive Sturniolo, se il resto del castello si regge su una apparente finzione. Si è creata una narrazione vincente a tutti i costi, perché la politica oggi non deve risolvere i problemi, deve solo convincere l’elettore che il problema non c’è più.
Il dramma vero, quello che Sturniolo intravede all’orizzonte e che dovrebbe impensierire non poco chi verrà dopo Basile ed a chi ha ancora un briciolo di onestà intellettuale, ha una data di scadenza: 2026. Oggi Messina galleggia, anzi naviga col vento in poppa, grazie a una marea di denaro pubblico piovuto dal cielo: PNRR, fondo di coesione, gli strascichi della liquidità Covid. È facile fare i bravi amministratori con i soldi del “papà Stato” o dell’Europa in tasca. Ma il rubinetto si chiuderà. E quando l’acqua finirà, resterà la sete.
Le voci di dimissioni anticipate, di non dichiarate ma probabili fughe verso altri lidi politici, prima che arrivi la tempesta, sanno di quel vecchio vizio italiano di scendere dalla nave un attimo prima che l’iceberg diventi inevitabile. Chi si siederà su quella poltrona tra sei mesi o un anno rischia di trovarsi tra le mani non un Comune risanato, ma una bomba a orologeria innescata da chi oggi si appunta medaglie al petto.
Sturniolo ha ragione: la “grande narrazione” andrà incontro alla verifica della realtà. E la realtà, a differenza dei comunicati stampa e delle dirette social, non fa sconti a nessuno. Quel “salvare Messina” che oggi è uno slogan elettorale, domani potrebbe diventare un grido d’aiuto disperato. Ma a quel punto, i pifferai magici saranno già altrove, a raccontare sempre la stessa favola ma a un altro pubblico.

IL POST DI LUIGI STURNIOLO
Prima che la tempesta arrivi
In una intervista rilasciata qualche settimana fa dal sindaco Federico Basile, il primo cittadino di Messina dichiara: “Abbiamo rimodulato il piano di riequilibrio del 2013 e la Corte dei conti, dopo 10 anni, ha finalmente espresso parere favorevole. Avevamo 550 milioni, dati di dicembre 2025, ad oggi restano da pagare debiti per 18 milioni, quindi stiamo pagando tutto, e sono debiti che hanno fatto altri”. Cosa si capisce? Che c’erano 550 milioni di euro di debiti e che oggi ne restano solo 18. Ma è davvero così? A cosa si riferisce Basile quando snocciola queste cifre? Cosa è successo nei conti del Comune di Messina e cosa è accaduto al Piano di Riequilibrio?
E’ accaduto che il primo piano di riequilibrio di De Luca (quello del 2018) riportava una massa debitoria imponente, ridotta a circa un quarto nel 2022. Lo stesso Basile si era spinto fino al punto di dire che aveva “salvato il Comune di Messina dal dissesto finanziario proprio per avere raggiunto importanti risultati che hanno ridotto i debiti da 552 a 142 milioni”.
Ma da dove venivano questi 552 milioni? Erano tutti debiti? No, a ben vedere. La composizione del piano di riequilibrio del 2018 aveva, infatti, come massa debitoria: debiti fuori bilancio per 250 milioni di euro, debiti delle società partecipate per 132 milioni, 35 milioni di fondo di rotazione messo a disposizione dallo Stato per pagare i debiti, 61 milioni di euro di disavanzo derivante dalla ricognizione straordinaria dei residui, e fondo rischi per 74 milioni.
Come fa, allora, la coppia De Luca/Basile ad arrivare a 142 milioni? Innanzitutto “espunge” dal piano i debiti delle partecipate (132 milioni). Poi, toglie i 61 milioni di euro del disavanzo (61 milioni). Riducendo la massa passiva, si può ovviamente svuotare il fondo rischi che, così, passa da 74 a 12 milioni di euro. Si può, dunque, dire che per metà della riduzione (255 milioni) si tratta di mera attività contabile.
I debiti delle partecipate, infatti, non spariscono.
Rimangono come contenzioso e il dibattito sui debiti Ato e Messinambiente lo sta a dimostrare. Da tale dibattito si è anche visto come da un lato si è svuotato il fondo rischi del piano di riequilibrio, ma dall’altro si è formato altro fondo rischi appostato sul previsionale per il contenzioso relativo alle partecipate. Il disavanzo generato dalla ricognizione straordinaria dei residui (61 milioni), d’altronde, è stato tolto dal piano, ma lo si paga ugualmente con una rata annuale di oltre 3 milioni.
Ciò che di positivo può essere rilevato dell’attività dell’amministrazione De Luca, prima, e Basile, poi, sono le transazioni al 50% con i creditori, attività che ha generato decine di milioni di euro di risparmio (difficili da quantificare, non avendo tutte le carte alla mano), ma, allo stesso modo, però, bisogna aggiungere che in occasione dell’approvazione del Rendiconto 2024 il Consiglio Comunale si è trovato a dover adottare una variazione al Bilancio di Previsione 2025-2027 che coprisse con maggiori entrate e minori spese gran parte degli accantonamenti (circa 50 milioni di euro) necessari a rispondere positivamente al dettato della delibera della Corte dei Conti che approvava il Piano di Riequilibrio del 2022.
L’impressione, insomma, è che ci si trovi di fronte a una grande narrazione (il risanamento finanziario dell’ente derivato dall’abilità del nuovo esecutivo) suffragata da una fine (seppure a volte irruenta) capacità comunicativa, ma che la grande narrazione andrà incontro a verifica e che il 2026, con la conclusione del PNRR e la fine dell’onda lunga iniziata con la liquidità immessa ai tempi del COVID, possa essere un anno molto difficile per i Comuni.









