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Sala d’Ercole e il balletto dei franchi tiratori: passa lo scheletro della manovra, la politica va in vacanza

- 20/12/2025
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I franchi tiratori impallinano Fratelli d’Italia e la Lega manda segnali di guerra: Galvagno costretto a stralciare sessanta norme per evitare il naufragio. Il Governatore vola da Mattarella lasciando ai posteri – e a febbraio – le macerie di una coalizione che si regge solo sulla tregua natalizia.

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A Sala d’Ercole va in scena il solito copione, recitato da quella medesima compagnia di giro che, soltanto poche settimane addietro, aveva già dato spettacolo affossando la manovra quater. È una notte fonda non solo per l’orologio, ma per la tenuta di una maggioranza che si conferma un ossimoro politico: compatta a parole, fratricida nel segreto dell’urna.

L’esame della legge di stabilità si conclude con un «liberi tutti» che ha il sapore di una tregua armata. L’ossatura della finanziaria, come ammette a mezza bocca un notabile del centrodestra, è stata portata a casa. Le misure su cui esisteva un accordo blindato sono scivolate via indenni: dagli aiuti alle imprese che favoriscono il South working alle cosiddette Super Zes per snellire la burocrazia, fino all’abbuono del bollo auto per il terzo settore e al bonus edilizio regionale. Si è assistito persino a rari momenti di concordia istituzionale, come per la stabilizzazione dei trattoristi dell’Esa — benedetta trasversalmente dalla Lega al Pd — o per la norma sui beni confiscati alla mafia, frutto di un asse inedito tra il forzista Intravaia e il dem Cracolici. Passa anche, grazie ai 5 Stelle, un fondo contro la dipendenza da smartphone: un tocco di modernità in un’aula che spesso pare ferma al secolo scorso.

Ma se la facciata tiene, le fondamenta scricchiolano sinistramente. Gli inciampi non sono stati incidenti di percorso, ma agguati premeditati. Fratelli d’Italia, il partito che esprime l’assessore al Territorio Savarino, ha visto cadere due norme simbolo — i viali parafuoco nei boschi e la gestione dei parchi archeologici — sotto la ghigliottina del voto segreto. I tabelloni hanno segnato impietosamente 43 e 42 voti contrari. Considerando che l’opposizione in aula contava appena 21 deputati, la matematica svela l’inganno: i franchi tiratori siedono nei banchi amici, e l’indiziato numero uno per questo “colpo di reni” è la Lega, pronta a lanciare segnali di fumo (e di fuoco) agli alleati.

Di fronte al rischio del naufragio, il presidente dell’Ars Gaetano Galvagno ha dovuto vestire i panni del mediatore e dello spazzino. Con pragmatismo, ha imposto lo stralcio di oltre sessanta norme: tutto ciò che era “microsettoriale” o divisivo è stato rinviato a data da destinarsi. Sono finiti nel cassetto i contributi ai consorzi universitari, gli aumenti di indennità per i presidenti di provincia, gli aiuti all’agricoltura cari ai leghisti e le misure cuffariane per l’autismo. Se ne riparlerà a febbraio, dicono. Ovvero, quando il “rimpasto” di giunta avrà, forse, chiarito i rapporti di forza.

Il governatore Schifani, preso atto del caos, si è scusato ed è volato a Roma per il tradizionale scambio di auguri con il Capo dello Stato, lasciando l’Aula in balia delle onde e di Cateno De Luca, la cui loquacità ha portato i colleghi sull’orlo dello sfinimento fisico. Alla fine, ai dipendenti sono state notificate le ferie e ai deputati è stato servito il “rompete le righe”. La finanziaria è scarna, il panettone è salvo. I nodi politici, quelli veri, restano tutti lì, aggrovigliati sotto l’albero, in attesa del nuovo anno e dei nuovi posizionamenti di un’Assemblea che cambia tutto per non cambiare nulla.

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