29 views 10 min 0 Comment

La città di carta pesta e la verità del Rapporto Caritas 2025: Messina non è un’isola felice, è un’emergenza sociale

Mentre l’Amministrazione si auto-celebra tra brand e “Messina Social City”, in Commissione cade il velo: Padre Basile e l’ex garante Costantino svelano l’inferno dei minori tra prostituzione, gioco d’azzardo e provertà. E la politica? Litiga o minimizza.

WhatsApp vds

La narrazione, per quanto ben oliata da uffici stampa e slogan accattivanti, si schianta contro il muro della realtà. L’altro ieri nell’aula della IV Commissione consiliare, l’impatto con la realtà è stato durissimo, trasformando una seduta sui servizi sociali in un atto di accusa contro l’ipocrisia di una città che si finge “rinata” mentre i suoi figli più fragili affondano.

Il “Messina Brand”: verità o bluff?

I dati del Report Caritas sono una sentenza inappellabile: 59mila persone non cercano nemmeno più lavoro, superando il numero degli occupati.

Da mesi assistiamo al racconto della Messina che corre, della città degli eventi, dei record, del “modello Messina Social City” che distribuisce servizi come fossero caramelle. Una narrazione patinata, quasi da spot turistico perenne. Ma se gratti via la vernice dorata del marketing politico, cosa resta? Resta la “Povertà Disarmanti”. Non è un titolo a effetto, è il nome del XIV Rapporto della Caritas, titolo del report Diocesano presentato il 2 dicembre a Messina. E i numeri fanno paura, non festa: Il 29% dei giovani messinesi tra i 15 e i 29 anni non studia e non lavora (NEET). In certi quartieri siamo a un ragazzo su tre che non fa nulla dalla mattina alla sera. Non chiamateli solo “fannulloni”. Tra questi 59 mila fantasmi ci sono gli scoraggiati, gente sfiduciata da un mercato del lavoro che offre solo precariato, contratti stagionali e paghe da fame. Negli ultimi dieci anni Messina ha perso 24 mila abitanti. Una vera e propria emorragia. Il motivo? Nel 2024 solo il 16% dei nuovi rapporti di lavoro è a tempo indeterminato. Il resto è giungla: lavoro intermittente, a termine, o quel part-time involontario che ormai imprigiona il 41,4% dei dipendenti. È un modello economico che non trattiene nessuno. È un “lasciapassare” per l’emigrazione.

Nella III Circoscrizione, il cuore ferito della città, i dati sono da brivido:

  • NEET: Qui 33 giovani su 100 (tra i 15 e i 29 anni) non studiano e non lavorano. Un esercito di ragazzi fermi agli angoli delle strade.
  • Dispersione Scolastica: Il 20% abbandona gli studi troppo presto.

Ecco il collegamento che la politica finge di non vedere: quel 33% di ragazzi che non fa nulla è il bacino d’utenza perfetto per chi offre “guadagni facili”.

Mentre ci vantiamo dei “servizi”, le donne messinesi sono costrette a restare a casa. Il tasso di inattività femminile è al 51,3% (il doppio degli uomini). Non è una scelta, è una condanna: in una città dove i servizi per l’infanzia e per gli anziani sono insufficienti, le donne sono il welfare nascosto. E quando lavorano, guadagnano in media 22 euro al giorno in meno degli uomini nel settore privato. Un gap che si trasforma in pensioni da fame (735 euro in meno).

La casa: un lusso per pochi

C’è poi l’emergenza sommersa, quella di chi ha un tetto ma rischia di perderlo. Un terzo delle famiglie messinesi (34,3%) non possiede la casa in cui vive. Nella III Circoscrizione si sale al 41%. Ma attenzione: il dramma colpisce anche la “Messina bene”. Nella IV Circoscrizione, un anziano su dieci vive in affitto pur essendo solo. La povertà abitativa è trasversale e silenziosa.

Reddito e Povertà: la grande bugia dell’abolizione

Con oltre il 40% dei contribuenti che dichiara meno di 15 mila euro l’anno, Messina è povera di portafogli. E l’addio al Reddito di Cittadinanza è stato il colpo di grazia. Nel 2023 i beneficiari erano 17.298; oggi, con l’Assegno di Inclusione, sono crollati a 6.652. Che fine hanno fatto gli altri 10 mila? Sono diventati ricchi? No. Sono stati classificati “occupabili” in una città dove il lavoro non c’è, abbandonati a se stessi o scaricati su servizi sociali comunali già al collasso.

Lo schiaffo in Commissione: “Prostituzione maschile e azzardo”

La verità è entrata prepotentemente a Palazzo Zanca non con i soliti report burocratici, ma con la voce rotta dall’urgenza di chi la strada la vive davvero: Padre Nino Basile, direttore della Caritas, e il dottor Angelo Costantino, psicologo ed ex Garante per l’infanzia. Non sono andati lì per fare passerella. Hanno parlato di minori che si prostituiscono (anche maschi, per pagarsi il vizio del gioco o della droga), di sale bingo che diventano luoghi di reclutamento del disagio, di dipendenze che divorano il futuro di intere generazioni.

E qual è stata la risposta della politica? Lo scontro, il teatrino, le parole fuori luogo che hanno costretto Basile e Costantino ad abbandonare l’aula. Un gesto clamoroso. Se chi tutela gli ultimi se ne va sbattendo la porta perché non si sente ascoltato dalle istituzioni, vuol dire che il cortocircuito è totale.

Trischitta la perla e Padre Basile lascia l'aula

La “Cassandra” inascoltata: cosa diceva Costantino 3 anni fa

Ma l’indignazione di oggi ha radici profonde e colpevoli. Chi oggi cade dalle nuvole o minimizza, finge di non ricordare. Esattamente tre anni fa, in un video-denuncia che oggi suona come una sentenza (guarda qui), Angelo Costantino, allora Garante per l’Infanzia, aveva già detto tutto. E nessuno ha ascoltato.

Nell’aprile del 2022, Costantino gridava una verità scomoda che la “Messina bene” preferisce sussurrare: “Messina ha un’emergenza mafia”. Non parlava di coppole e lupare, ma di qualcosa di più subdolo:

“La criminalità organizzata recluta i minori per strada. E sapete su cosa fa leva? Sulle risorse immediate. Regala loro quello che noi Stato non riusciamo a dare: un’identità. Un’identità alterata, patologica, di ragazzo forte e prepotente, ma pur sempre un’identità”.

Già tre anni fa i fascicoli sui minori in stato di abbandono erano passati da 300 a 1.400 in un anno. Numeri da brivido, definiti allora “solo la punta dell’iceberg”. Costantino avvertiva: “Se le istituzioni non conquistano la fiducia, è facile cercare strade alternative”. Quella strada alternativa era, ed è, la manovalanza criminale, lo spaccio, e ora – come denuncia Padre Basile – persino la prostituzione per l’azzardo.

I “progettifici” non sono la cura

L’Amministrazione risponde snocciolando l’elenco dei progetti: Estate Addosso, le borse di inclusione, i servizi domiciliari. Ben vengano, per carità. Ma la sensazione è che si stia curando un’emorragia arteriosa con i cerotti colorati. I progetti a termine, finanziati con fondi extra, tamponano l’emergenza (e creano consenso), ma non cambiano la struttura sociale della città. Non creano lavoro vero, non tolgono i ragazzi dalla strada quando le luci del progetto si spengono. La Messina Social City è diventata un gigante onnipresente, ma se il risultato è una città dove la povertà educativa e materiale dilaga, forse bisogna avere l’onestà intellettuale di dire che il “modello” non sta funzionando come dicono le slide.

Messinesi, aprite gli occhi

Messina è povera. Povera di portafogli e, quel che è peggio, povera di spirito critico se accetta passivamente di essere trattata come un villaggio turistico mentre le periferie esplodono. Il grido di Padre Basile – “Qui ci spieghiamo perché aumenta la prostituzione” – dovrebbe togliere il sonno a chi ci governa, non essere liquidato come una nota a margine in una commissione rissosa.

Di fronte a 59 mila inattivi e a un giovane su tre che vaga nel nulla nelle periferie, continuare a parlare di “Brand Messina” è un insulto all’intelligenza. Le denunce di Basile e Costantino, unite a questi dati agghiaccianti, ci dicono che l’isola felice non esiste. Esiste una città che si sta spegnendo demograficamente ed economicamente, mentre la politica litiga in commissione o organizza feste sul ponte del Titanic.

costantino
costantino