
Definivano “umarell” chi denunciava lo stallo, oggi devono rimangiarsi tutto. Con il cantiere in alto mare, la Giunta prova a rimediare promettendo di rendere “confortevole” l’esilio tra le auto e i loculi. Una pezza peggiore del buco.

Al Mercato Vascone è andata in scena una commedia all’italiana dal finale amaro, ma prevedibile. Avevamo ragione noi. Aveva ragione Alessandro Cacciotto, presidente di quella terza circoscrizione che vive i problemi sulla pelle e non dai velluti del palazzo. E avevano ragione, soprattutto, quei cittadini e quei mercatali trattati con sufficienza.
Ricordate l’assessore Massimo Finocchiaro? Di fronte alle segnalazioni di chi, occhi aperti e buon senso in tasca, faceva notare che in quel cantiere non si muoveva foglia, rispondeva con il fastidio del monarca disturbato dai sudditi. Ci aveva definiti “umarell“, prendendo a prestito quel termine bolognese simpatico e un po’ malinconico che descrive i pensionati con le mani dietro la schiena che osservano i lavori. Un modo elegante per darci dei perditempo, dei ficcanaso incompetenti.

Ebbene, il tempo è galantuomo, ma i cantieri no. La data di consegna, fissata per il 18 settembre scorso, è passata come passa l’acqua sotto i ponti, senza lasciare traccia. Anzi, una traccia c’è: il nulla. Siamo a due mesi dalla scadenza e l’Amministrazione, con un ritardo che ha del clamoroso, è costretta a ingranare la retromarcia. Altro che “umarell”. Quei “pensionati” avevano visto lungo, mentre chi doveva sorvegliare, forse, guardava altrove.
La ditta di Modica, appaltatrice dell’opera, di fronte alla diffida del Comune ha calato le carte: si va al subappalto. Un epilogo inevitabile, dicono i fatti, visto che i lavori non superano il 15% di quanto previsto. Una miseria. Adesso si cerca un’altra ditta, si controllano i certificati antimafia, si verifica la solidità economica. Tutto giusto, tutto sacro. Ma viene da chiedersi: prima dov’erano questi controlli stringenti? E dov’era l’assessore mentre il cantiere languiva nel silenzio?
Intanto, il mercato vive il suo esilio. Spostato di fronte al Gran Camposanto, in un parcheggio che di nobile ha solo la vicinanza con l’eterno riposo. Un accostamento che farebbe sorridere se non ci fosse da piangere: il vociare della vendita del pesce che si mescola al silenzio del lutto. Ma tant’è, a Messina ci si abitua a tutto.
Ora l’amministrazione Basile, costretta all’angolo dai fatti, sfodera nuove promesse. Dicono che renderanno l’area “più confortevole”. Sistemaranno la canaletta per le acque reflue – perché pare che quando piove quel parcheggio diventi una piscina – e renderanno agibili i servizi igienici.
Siamo al paradosso: si annuncia come una conquista di civiltà ciò che dovrebbe essere il minimo sindacale. I bagni e le fogne non sono un regalo, sono un diritto per chi si guadagna il pane ogni mattina all’alba. Speriamo che non siano i soliti “contentini”, i soliti proclami per coprire il rumore del fallimento.
Finocchiaro e il vicesindaco hanno dovuto fare non uno, ma dieci passi indietro. Sarebbe auspicabile che, oltre alla ditta, cambiassero anche l’atteggiamento. Meno arroganza, meno definizioni colorite per i cittadini che segnalano i problemi, e più calce e mattoni. Perché alla fine, caro Assessore, gli “umarell” avevano visto quello che lei si rifiutava di guardare: un cantiere fermo e una promessa mancata.









