
Le difese d’ufficio. La politica non è un’azienda da piazzare in borsa e la stampa non fa da sensale. Solo i fatti certificati contano. Altrimenti valga il rispettoso silenzio


di GIUSEPPE BEVACQUA
Attaccare a testa bassa non serve a nulla. È rissa, non giornalismo. E la politica messinese, questo oggetto astruso e a tratti curioso, dovrà pur avere un briciolo di buono. È vero, siamo critici. È il nostro mestiere. Ma non ci passa neanche per l’anticamera del cervello di fare i consiglieri, di ingerire negli assetti politici, di “suggerire” a un partito chi abbracciare o chi pugnalare. L’etica lo impone.
Imparziali? Ci sforziamo di esserlo. Quel che va bene, lo scriviamo. Quel che non va, quel che puzza, lo analizziamo, lo approfondiamo, lo seguiamo. E lo pubblichiamo. Il nostro confine sono le carte, i documenti, le prove inoppugnabili. Non un millimetro oltre.
L’attacco per il “gusto” di attaccare non ci appartiene. Così come la piaggeria, che è vomitevole, per chiunque.
Agire come “sensale” per un’alleanza politica è un atto di slealtà verso il lettore, perché si sta usando l’informazione per uno scopo diverso da quello di informare. È un inganno far credere di fare cronaca mentre si fa lobbying. Il dovere primario del giornalista non è verso un partito o un politico, ma verso i cittadini e la verità.
Riteniamo pertanto disdicevole, un pugno nello stomaco alla professione, vedere chi prende metaforicamente sottobraccio un movimento politico, un partito, e cerca di spingerlo ad allearsi con chicchessia. Questo non è il compito del giornalista. Non è il compito dell’editore. Non in una città “normale”.
Ma Messina, si sa, normale non lo è. Qui l’obiettività è morta e sepolta, asservita alle logiche di potere. Piegata a una narrazione schizofrenica, un delirio completamente disallineato dalla realtà che i cittadini, loro sì, percepiscono con chiarezza. Le difese d’ufficio non spettano a chi ha l’obbligo di raccontare i fatti nudi e crudi. E la gente, per fortuna, non è stupida: si accorge benissimo chi racconta cosa, e come la racconta.
Pertanto, pur nella continua opera di chiarezza che intendiamo fare su questa amministrazione, sia lampante: ci manteniamo equidistanti. Non siamo asserviti alla nascita di nessuna “azienda politica”. Una definizione che, di per sé, è già una malattia.
Il concetto di “azienda” non può essere coniugato con quello di Politica, quella con la ‘P’ maiuscola. Perché la politica gestisce i soldi pubblici, quelli dei cittadini. L’azienda cerca il profitto. La politica, si spera, il servizio. Il giornalismo ha un solo padrone: il dovere di raccontare i fatti sulla base di prove concrete. A garanzia del diritto di sapere. Il resto è fuffa.










