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Ponte, lo stop della Corte dei Conti. Il Governo, la forzatura e l’ombra dell’infrazione UE

- 30/10/2025
brussels

La bocciatura della Corte espone il vizio d’origine del progetto: l’aumento dei costi impone una gara UE che il Governo ignora, aprendo la strada a infrazione e danno erariale.

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La bocciatura da parte della Corte dei Conti della delibera Cipess per il Ponte sullo Stretto non è solo l’ennesimo scontro istituzionale su un’opera divisiva. È l’emersione di un vizio d’origine, tecnico e giuridico, che il Governo ha finora scelto di ignorare: la palese violazione delle norme europee sugli appalti.

Mentre l’Esecutivo, irritato, valuta la mossa della “registrazione con riserva” per forzare la mano e portare la decisione in Parlamento, l’ostacolo più insidioso non è a Roma, ma a Bruxelles.

Il rischio concreto: infrazione per mancata gara

Il nodo centrale, già sollevato inascoltato dall’ANAC (Autorità Nazionale Anticorruzione) in diverse audizioni parlamentari, è la mancata indizione di un nuovo bando di gara.

I fatti sono incontestabili. L’appalto originario, ripescato dal cassetto e risalente al 2005, aveva un valore stimato di 3,9 miliardi di euro. Il progetto attuale, aggiornato e presentato al Cipess, supera i 13,5 miliardi di euro.

Non si tratta di un semplice adeguamento prezzi, ma di un incremento di quasi il 300%.

La Direttiva Appalti dell’Unione Europea (2014/24/UE) è categorica: se il valore di un contratto subisce modifiche sostanziali che superano il 50% del valore originale, l’amministrazione è obbligata a indire una nuova procedura di gara. Continuare con l’affidatario originale costituisce una violazione del principio di concorrenza.

L’Italia, scegliendo di non indire una nuova gara per “fare presto”, sta contravvenendo direttamente al diritto comunitario. L’avvertimento dell’ANAC non è stato un parere politico, ma una segnalazione tecnica precisa sul rischio imminente di una procedura d’infrazione da parte della Commissione Europea.

La forzatura politica e il rischio erariale

salvini ponte
salvini ponte

Di fronte allo stop dei magistrati contabili, il Governo ha la facoltà di deliberare nuovamente in Consiglio dei Ministri, chiedendo alla Corte la “registrazione con riserva” e rimettendo la decisione finale al Parlamento.

In quella sede, la maggioranza numerica di cui gode l’Esecutivo garantirebbe il via libera politico, neutralizzando qualsiasi opposizione che cerchi di fermare la decisione.

Ma questo passaggio non sanerebbe l’illegittimità europea. Trasferirebbe solo il peso di una responsabilità politica enorme sulle spalle della maggioranza.

Questa responsabilità si aggraverebbe fino a diventare un rischio personale per gli amministratori, qualora si andasse incontro a un blocco dell’opera. Se i cantieri dovessero partire, per poi essere fermati da un intervento di Bruxelles o per il collasso finanziario del progetto, lo scenario del danno erariale diventerebbe una certezza.

I miliardi spesi per un’opera avviata contro i pareri tecnici e in violazione delle norme UE verrebbero imputati non a un’entità astratta, ma ai decisori che hanno forzato l’iter. Un incubo contabile aggravato dalla prospettiva di inevitabili class action da parte dei cittadini e delle imprese delle zone devastate da cantieri avviati e poi abbandonati.

La decisione del Governo di attendere le motivazioni della Corte dei Conti appare, in questo contesto, non una pausa di riflessione, ma una mossa tattica obbligata per capire quanto profonda sia la crepa legale prima di decidere se assumersi il rischio di saltarla.

Corte dei conti