
Fatti in fotocopia. A Siracusa l’indagine, a Messina il silenzio “riflessivo” di un Tribunale che non può non sapere.

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Un sistema. Anzi, “il” sistema. Quello che ad Avola, provincia di Siracusa, finisce sotto la lente della Procura e che, a leggerne i contorni, suona come una melodia fin troppo familiare per le orecchie messinesi. A Siracusa lo chiamano già il “Cannatagate”, dal nome dell’ex sindaco Luca Cannata, oggi pezzo da novanta di Fratelli d’Italia e vicepresidente della Commissione Bilancio alla Camera. A Messina, un nome ufficiale ancora non ce l’ha, ma la musica è la stessa, forse persino più assordante. E mentre ad Avola si indaga, qui si attende. Si attende e basta.
La Procura di Siracusa ha acceso un faro sulle “trattenute”, un eufemismo per non dire obolo, sugli stipendi degli ex assessori dell’amministrazione Cannata. A scoperchiare il vaso non sono stati carbonari o pentiti dell’ultima ora, ma ex fedelissimi del sindaco, gente come Luciano Bellomo, Antonio Orlando e l’ex presidente del Consiglio comunale Fabio Iacono. Gente che quel sistema lo ha vissuto dall’interno, prima di cambiare casacca e passare a Forza Italia. Raccontano di un contributo, preteso tra il 2017 e il 2022, che viaggiava sui 550 euro, poi generosamente ridotti a 500. Un “dettaglio” che ha spinto i magistrati ad iscrivere sei persone nel registro degli indagati.
E qui, la musica avolese inizia a sovrapporsi a quella messinese, diventando un’unica, assordante sinfonia. Perché quel meccanismo dei “contributi volontari”, escogitato dall’ex sindaco di Avola, è la fotocopia sbiadita di quanto accade sotto il cielo dello Stretto. Anzi, a ben guardare, l’originale messinese è persino più definito, più sfrontato. Se Cannata si difende sostenendo che non ci fosse alcun patto scritto, nel “sistema De Luca” la scrittura c’è, eccome. Un accordo nero su bianco che formalizza la “libera” elargizione di una parte dello stipendio da parte di assessori, consiglieri, dirigenti delle partecipate. E non solo. La platea si allarga a macchia d’olio, arrivando a toccare le aziende che con il Comune e le sue controllate fanno affari.
Le cifre, poi, fanno impallidire il “tariffario” di Avola. A Messina si parte da 500 euro, certo, ma è solo l’antipasto. Si sale, si sale vertiginosamente fino a toccare vette da 20 mila euro. Una “generosità” spontanea, ovviamente. Una scelta talmente libera che a dubitarne si fa peccato mortale, specie considerando le memorabili e documentate pressioni del leader massimo. Libera come può esserlo una scelta in un sistema dove chi non si allinea è fuori.
La notizia che arriva da Siracusa è un macigno che cade nel silenzio quasi innaturale che avvolge il Palazzo di Giustizia di Messina. Un tribunale da tempo investito di notizie, esposti e segnalazioni su questo sistema di raccolta fondi per Sud chiama Nord. Carte che raccontano di un meccanismo che, se provato, sarebbe persino peggiore di quello per cui oggi ad Avola si indaga. Peggiore perché più strutturato, più scientifico, messo a sistema con la protervia di chi si sente intoccabile.
E allora, mentre queste righe vengono scritte, una domanda sorge spontanea. Chissà cosa sta pensando, in questo preciso istante, il Procuratore della Repubblica di Messina leggendo del “Cannatagate”. Chissà se, scorrendo i dettagli dell’inchiesta siracusana, avverte quel fastidioso “suono”, quella assonanza quasi perfetta con le carte che, da qualche parte, sulla sua scrivania o in un cassetto, attendono di essere lette con la stessa fame di verità. Chissà se pensa che, in fondo, la legge dovrebbe essere uguale per tutti. Da Avola a Messina. O se, invece, qui vige un’altra regola. Quella del silenzio.

