L’amministrazione Basile querela il medico Todaro per critiche alle partecipate, dimenticando che il suo leader, Cateno De Luca, ne aveva fatto un cavallo di battaglia elettorale. Un cortocircuito politico e istituzionale che solleva più di un interrogativo.

A Messina, la memoria politica sembra essere merce rara, soprattutto quando si passa dai banchi dell’opposizione (o dalle piazze urlanti) alle comode poltrone del potere. La recente decisione dell’amministrazione Basile di querelare il medico Salvatore Todaro, ex candidato sindaco, per alcuni post su Facebook, è la cronaca di un paradosso che merita di essere raccontato. Un paradosso i cui costi, legali e non, ricadono interamente sulla collettività.
I fatti sono noti. Con una delibera di Giunta, l’amministrazione ha dato mandato a un legale – per un compenso di 2.622 euro lordi più spese, a carico del Comune – di sporgere querela contro Todaro. L’accusa è quella di aver leso “l’immagine e l’onorabilità del Comune di Messina” con post “fortemente offensivi e denigratori”. Nel mirino del dottor Todaro sono finiti la gestione della Passeggiata a Mare e, soprattutto, il vasto e costoso universo delle società partecipate comunali, definite senza mezzi termini “macchine mangiasoldi“, popolate da “incapaci“, “accozzaglia” e “furbetti“.
Parole dure, certo. Ma sono davvero così inaudite da giustificare una reazione legale finanziata con soldi pubblici? La domanda diventa ancora più spinosa se si riavvolge il nastro al 2018. In piena campagna elettorale, un altro Cateno De Luca, allora aspirante sindaco, tuonava contro la cattiva gestione precedente, coniando una delle sue frasi più celebri e incisive: “Le partecipate sono i bancomat della politica”.
Cosa è cambiato da allora? Apparentemente tutto. La critica che ieri era un grimaldello per scardinare il sistema e conquistare il consenso, oggi, sotto un’amministrazione che di quel sistema è la diretta prosecuzione, diventa un’offesa intollerabile, un attacco da respingere nelle aule di un tribunale. L’analisi che nel 2018 valeva come programma politico se pronunciata dal leader, oggi, nel 2025 e molte nuove partecipate dopo, si trasforma in diffamazione se espressa da un cittadino, peraltro avversario politico.
Sorge spontaneo un quesito fondamentale: una critica, per quanto aspra, rivolta alla gestione politica di un’amministrazione comunale, può essere considerata un’offesa all’ “onorabilità dell’Ente” nella sua interezza, giustificando così l’uso di risorse pubbliche per difendersi? O non sarebbe forse più corretto che fosse il sindaco Federico Basile, o il suo gruppo politico, a sentirsi diffamato e a procedere legalmente a titolo personale e a proprie spese? La linea tra la tutela dell’istituzione e la difesa della propria fazione politica appare pericolosamente sfumata. I cittadini messinesi si trovano così a finanziare una battaglia legale che nasce da una polemica squisitamente politica.
Il paradosso si fa ancora più stridente se si considera il contesto attuale. Forse la reazione così veemente nasce dal fatto che proprio l’era De Luca-Basile ha visto un’espansione senza precedenti del numero delle società partecipate? Criticare oggi quel sistema significa, inevitabilmente, criticare il cuore della macchina amministrativa che loro stessi hanno ampliato e consolidato. Forse è questo il nervo scoperto: l’accusa di Todaro non è un’eco lontana delle parole di De Luca, ma una fotografia impietosa del presente.
La querela a Todaro, quindi, trascende la semplice cronaca locale. Diventa un sintomo preoccupante. È il segnale di un potere che, nato dalla protesta, ora mostra una crescente intolleranza verso la stessa. Resta da chiedersi se a essere difesa sia realmente l’onorabilità della Città di Messina o, piuttosto, la suscettibilità di chi, salito al potere con la fiamma della contestazione, oggi sembra non tollerare nemmeno le scintille della critica. Scrive Salvatore Todaro oggi sulla sua pagina social: “Non amano la critica nemmeno davanti all’evidenza negando e cercando di porsi contro con viltà. Si ricordino lor signori che io TEMO SOLO DIO e non gli operatori di iniquità !“.


