La domanda, a questo punto, non è se sia lecito, ma quanto a lungo si intenda tollerare una simile ambiguità senza intervenire.

Che succede quando il garante della legalità amministrativa smette di essere neutrale? Quando la figura chiamata a vigilare sull’imparzialità dell’azione pubblica versa denaro al partito del sindaco in carica, la risposta è una sola: si consuma un grave corto circuito istituzionale.
È il caso – documentato – del Segretario Generale del Comune di Messina che, nel pieno delle sue funzioni, effettua una donazione economica al soggetto politico che esprime la giunta comunale. Un gesto che risulta inaccettabile sotto il profilo dell’etica pubblica e della trasparenza.
Il Segretario Generale è nominato e vigilato dal Ministero dell’Interno proprio per garantire autonomia e indipendenza rispetto agli indirizzi politici locali. È una figura di raccordo istituzionale, non un sostenitore.
Chi ricopre tale incarico sa – o dovrebbe sapere – che l’apparenza di imparzialità è tanto importante quanto la sostanza.
E in questo caso l’apparenza è irrimediabilmente compromessa.
Un funzionario che finanzia il partito del proprio sindaco non è più un arbitro, ma un giocatore schierato, con tutto ciò che ne consegue in termini di fiducia, credibilità e rispetto del principio costituzionale di buon andamento e imparzialità della pubblica amministrazione (art. 97).
La domanda, a questo punto, non è se sia lecito, ma quanto a lungo si intenda tollerare una simile ambiguità senza intervenire. Perché se la neutralità amministrativa può essere barattata con un bonifico politico, allora il confine tra Stato e partito si fa pericolosamente sottile. E chi ha il compito di custodirlo, non può essere il primo a calpestarlo.

