
Svolta nelle indagini sul racket ai danni dell’impresa impegnata nei lavori allo svincolo. I boss continuavano a minacciare i cantieri usando cellulari nascosti in prigione e sfruttando un ragazzino per le ambasciate

MESSINA – Non bastavano le manette, né le sbarre di un penitenziario a fermare la pretesa del pizzo. L’ombra del racket continuava ad allungarsi sui cantieri della Cosedil, il colosso delle costruzioni di Santa Venerina impegnato in opere strategiche a Messina. È questo il retroscena inquietante svelato all’alba dai Carabinieri del Nucleo Investigativo, che hanno notificato un’ordinanza di custodia cautelare a tre soggetti, accusati di aver continuato a torchiare l’impresa nonostante fossero già detenuti.
Il blitz: ordini via telefono dal carcere
Il provvedimento, firmato dal Gip su richiesta della DDA peloritana, colpisce un 39enne e un 33enne (ristretti rispettivamente a Palermo e Agrigento) e un 24enne ai domiciliari. L’accusa è pesante: tentata estorsione aggravata dal metodo mafioso. Secondo la ricostruzione degli inquirenti, i due detenuti non avevano mai smesso di “lavorare”. Grazie a micro-telefoni o smartphone introdotti illegalmente in cella – reato specificamente contestato nell’ordinanza – avrebbero continuato a impartire direttive verso l’esterno. L’obiettivo era sempre lo stesso: costringere l’azienda a pagare. E per farlo, non avrebbero esitato a usare come pedina operativa un minore, incaricato di portare i messaggi di morte e le richieste di denaro.
Il fatto: la “bottiglia” e la paura in cantiere
La vicenda si innesta su una ferita aperta per l’imprenditoria locale. La Cosedil, impegnata nei lavori di messa in sicurezza del viadotto Ritiro e dello svincolo di Messina Centro (curva “Zafferia”), era finita nel mirino dei clan già nei mesi scorsi. Il copione era quello classico, brutale, della mafia che vuole marcare il territorio. Tutto era iniziato con i segnali “silenziosi” ma inequivocabili: il ritrovamento di una bottiglia contenente liquido infiammabile lasciata in bella vista nei pressi del cantiere, un avvertimento che nel codice criminale significa “mettetevi a posto o bruciamo tutto”. A seguire, le “ambasciate”: avvicinamenti ai capi cantiere, messaggi trasversali, la richiesta di una percentuale sui lavori. Un pressing asfissiante che aveva già portato a una prima risposta dello Stato, ma che evidentemente non aveva scoraggiato il gruppo criminale, convinto di poter gestire l’affare estorsivo in “smart working” dalle carceri siciliane.
La conferenza stampa
I dettagli di come la cosca sia riuscita a bypassare i controlli penitenziari e il ruolo specifico del minorenne utilizzato come “postino” del racket saranno al centro della conferenza stampa prevista per le 10.30 al Comando “Culqualber”, alla presenza del Procuratore Antonio D’Amato. L’operazione di oggi conferma che per la Cosedil l’incubo non era finito con i primi arresti: la “tassa sulla sicurezza” veniva chiesta a oltranza.










